Prima dose con AstraZeneca e seconda con un vaccino diverso? Ecco perché forse non è una cattiva idea
Aveva destato preoccupazione a inizio anno, l’iniziativa presa nel Regno Unito di distribuire subito le prime dosi dei vaccini contro il nuovo Coronavirus, “fino a esaurimento scorte”, senza preoccuparsi più di tanto della mancanza di seconde dosi dello stesso farmaco, per tutti i cittadini inoculati. L’idea era quella di puntare sulla probabilità che una prima dose sarebbe bastata. Nell’eventualità che fosse mancata la seconda dose per Vaxzevria di AstraZeneca era quindi possibile assumere quella di Pfizer, nonostante le specifiche lo sconsigliassero. Oggi, date le alterne vicende su AstraZeneca per i presunti legami con la trombosi, si è tornato a parlare della possibilità di raccomandare il richiamo a chi ha ormai fatto la prima dose del vaccino di Oxford con uno diverso. Una strategia che al momento non verrà seguita dall’Italia. Ma nel caso, sarebbe una buona idea? Forse sì, vediamo perché.
Anche i vaccini devono evadere la risposta immunitaria
In linea di massima se qualcuno già inoculato con la prima dose di AstraZeneca, dovesse aspettare il richiamo più del previsto, è plausibile che dilatare i tempi fino a tre mesi tra le due somministrazioni, comporti comunque una buona immunizzazione. In secondo luogo, è risaputo che i vaccini basati su adenovirus (come anche Johnson & Johnson e Sputnik V), in quanto patogeni a loro volta devono sfuggire alle difese immunitarie. Il nostro corpo non segue i notiziari, per lui quei vettori virali sono un pericolo e li attacca, ignaro di commettere fuoco amico.
Come funzionano i vaccini anti-Covid
- I vaccini a mRNA basano il loro funzionamento direttamente su un frammento di informazione genetica contenente le informazioni per produrre i soli antigeni di SARS-CoV-2
- Quelli a vettore virale utilizzando degli adenovirus che trasmettono un frammento di DNA in grado di svolgere lo stesso compito
- In un certo senso, far produrre alle nostre cellule gli antigeni del virus è il vaccino vero e proprio
- Gli antigeni sono le parti che avvolgono SARS-CoV-2, utilizzati dal virus per infettare le cellule, e che il sistema immunitario deve “imparare” a riconoscere per neutralizzarlo in tempo
Quel gruppo di volontari inoculati con mezza dose per sbaglio
Ecco perché sono stati scelti adenovirus che attaccano solo i primati non umani. Tuttavia, la possibilità che una parte di questi vettori venga eliminato dal sistema immunitario c’è, ed è anche per questo che si raccomanda di solito una seconda dose (Johnson & Johnson non lo fa). Durante le sperimentazioni del vaccino di AstraZeneca circa 1300 volontari di un gruppo di 3000 cittadini britannici che parteciparono alla sperimentazione vennero inoculati con mezza dose. Un errore, che potrebbe risultare anche un ennesimo caso di serendipità nella ricerca scientifica.
Serendipità è quando scopriamo qualcosa di importante mentre stavamo cercando tutt’altro. Nello studio di Fase 3 salta fuori che un gruppo di volontari ha ricevuto per sbaglio mezza dose del vaccino di AstraZeneca. Capire come sia potuto accadere è ancora un “mistero”. Non di meno, è risultato che i volontari inoculati in questo modo abbiano ottenuto ottimi risultati. Come si spiega? L’ipotesi più accreditata è che una dose ridotta di adenovirus possa viaggiare più indisturbata, facendosi notare meno dal sistema immunitario, potendo così consegnare con più efficienza l’informazione alle cellule per produrre gli antigeni.
Il gruppo era relativamente ridotto e nessuno, vista l’emergenza, ha pensato di condurre da capo degli studi con dosi diverse da quelle accertate in precedenza. Tuttavia Johnson & Johnson è riuscita a ottenere un vaccino monodose, utilizza un adenovirus di tipo 26 (Ad26), praticamente identico a uno dei due usati da Sputnik V. Il vaccino russo utilizza due adenovirus proprio nell’ottica di sfuggire meglio alla risposta immunitaria.
Una dose diversa è meglio di niente
Così, se per caso qualcuno si trovasse a dover prendere una seconda dose di vaccino diversa dalla prima, potrebbe trarne persino dei vantaggi. Parliamo sempre di ragionamenti teorici, basati su alcune evidenze, anzi, sul principio di base che regola il funzionamento dei vaccini attualmente somministrati.
Se per esempio dopo l’adenovirus di AstraZeneca venisse inoculato a distanza di tempo quello di Johnson & Johnson o uno che funziona con la somministrazione diretta della sola informazione per produrre gli antigeni, come quello di Pfizer o di Moderna, chi li riceve avrebbe nel corpo due soluzioni diverse per il medesimo risultato, dando una protezione teoricamente più completa, anche nell’ottica di combattere le varianti Covid.
Ricordiamo che l’ostacolo maggiore è formalmente la mancanza di ampie sperimentazioni, mirate a verificare l’assenza di eventi avversi e precise stime sulla efficacia. Non di meno, nel caso mancassero le scorte, piuttosto che lasciare delle persone con una vaccinazione a metà, fare il richiamo con un vaccino diverso potrebbe rivelarsi una soluzione sensata.
Foto di copertina: EPA/ANTONIO BAT | A health worker injects a dose of AstraZeneca COVID-19 vaccine on World Health Day, in Zagreb, Croatia, 07 April 2021.
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