Da Sileri a Fontana, ecco i Nostradamus delle riaperture: i politici che prevedono (senza dati) il «ritorno alla normalità»
Che sia per far digerire meglio le chiusure da Coronavirus o che sia per dare una scossa al mercato turistico estivo, in queste settimane è ripartito il valzer degli annunci sulle riaperture. Reduce da una zona rossa pasquale – che ci ha consentito, come dichiarato dal ministro Speranza, di mettere da parte un ormai citatissimo «tesoretto di indice Rt» -, l’Italia si dice già pronta a lanciarsi verso «un’estate normale e bella», come l’ha definita il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. Ma non si tratta solo di auspici più o meno vaghi: alcuni, come il ministro leghista del Turismo Massimo Garavaglia, si sono spinti a indicare una data precisa di «ritorno alla vita», quando tutto (o quasi) sarà aperto: il 2 giugno, la festa della Repubblica.
L’impressione è quella di trovarsi davanti un film già visto lo scorso anno e del quale non abbiamo certo apprezzato il finale. È vero, quest’anno abbiamo i vaccini. Ma a oggi, 12 aprile, non si è ancora capito se riusciremo a raggiungere le 300 mila somministrazioni giornaliere o le 500 mila date come obiettivo dal commissario Figluolo per fine mese. Basandosi su quanto fatto finora, la prospettiva non è incoraggiante da molti punti di vista: dopo il piano naufragato di vaccinare tutti gli over 80 entro il primo trimestre, ora Speranza si è dato come orizzonte quello di giugno. Non proprio il massimo, considerando che per raggiungerlo bisognerà catalizzare le energie sugli anziani e rallentare sugli altri fronti.
Sileri, Garavaglia, Gelmini e Fontana: come ti predico il futuro
Il più cauto di tutti è sicuramenti il ministro della Salute Roberto Speranza, il quale, memore dalla scottatura del suo libro ritirato dal commercio lo scorso autunno (che si intitolava Perché guariremo. Dai giorni più duri a una nuova idea di salute), ci va con i piedi di piombo. Col suo sottosegretario Pierpaolo Sileri giocano al poliziotto buono e al poliziotto cattivo: se il primo è rigorista e invita sempre alla cautela, il secondo si lancia in previsioni più disinibite, provando a placare le proteste di questi giorni del movimento dei ristoratori #IoApro.
Ospite in tv dice che «già dalla prossima settimana vedremo i numeri migliorare di molto e già nel mese di maggio avremo le riaperture». Addirittura, secondo Sileri e secondo la ministra Maria Stella Gelmini, maggio sarà il mese in cui vedremo i «ristoranti riaprire a pranzo e, verosimilmente, da metà maggio anche a cena». Chi ha più urgenza di trovare una data è Garavaglia, che vuole arrivare preparato per il green pass e stabilire una data competitiva per l’ingresso dei vaccinati. «Ogni settimana che passa perdiamo pezzi di Pil e non ce lo possiamo permettere», ha detto.
Si punta tutto all’estate normale evocata da Fontana, che però intanto è ancora alle prese con decine di morti e centinaia di contagi nella sua Regione, dove si fatica anche a organizzare senza intoppi la vaccinazione di fragili e anziani. «Ovviamente dipenderà da come procederà la campagna vaccinale, bisogna essere molto prudenti», ha specificato Garavaglia sulle riaperture. Al netto del presente, d’altronde, si fatica a capire su quali numeri (epidemiologici, s’intende) si stia annunciando con tanta precisione la ripartenza.
«Lo dicono i dati». Sì, ma quali?
Non è detto infatti che basti tenere sotto controllo l’Rt di un territorio o il tasso di positività giornaliero – condizionato dal numero, troppo variabile, di tamponi che si effettuano sul territorio – per avere il quadro esatto di quel che accadrà. Dopo mesi di discussioni sui criteri di valutazione per le riaperture, a mettere in dubbio per ultimo il sistema è stato il fisico dell’Università di Trento Roberto Battiston, che ha spiegato perché i 21 parametri attualmente utilizzati per monitorare l’andamento della pandemia «non bastano». Bisognerebbe guardare agli attualmente positivi (oltre 533 mila), dal quale deriva il numero futuro di decessi.
Ma certo, anche questo è un dato inafferrabile senza un tracciamento serio e continuo: bisognerebbe pretendere un numero minimo di tamponi giornalieri dalle regioni, o al limite osservare con maggiore attenzione il rapporto tamponi/positivi, per fare in modo di muoversi solo quando sia sufficientemente basso e costante. Senza uno sguardo diverso sui dati, pensare alle riaperture rischia di sottovalutare il problema. Così come successo la scorsa estate, quando il vantaggio dato dalle poche infezioni (si avevano circa «15 mila attualmente positivi», spiega Battiston) è stato vanificato dagli allentamenti di settembre, quando si dimenticarono anche «le precauzioni più elementari».
Immagine di copertina: Vincenzo Monaco per Open
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