Succube dei produttori e dei contratti, così la Ue sta perdendo la «guerra geopolitica» dei vaccini
Il ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha detto che quella sui vaccini è «una guerra geopolitica» su cui «si gioca il concetto di sovranità», una considerazione schietta e sincera, inusuale per la grammatica della politica italiana. Tuttavia, Giorgetti ha risparmiato la considerazione finale: l’Unione europea questa guerra si avvia a perderla, per la semplice ragione che – come detto in un’altra occasione dal ministro della Salute, Roberto Speranza – sui vaccini l’Ue paga la mancanza di una produzione propria. Riflessioni che contrastano con il racconto di un’Europa potenza mondiale dell’export di vaccini, un dato vero sulla carta, ma che non si traduce automaticamente in potenza se non possiedi realmente quel che produci.
In Europa si è persa un’occasione
Gli Stati membri (come Olanda e Italia) hanno perso l’occasione di diventare comproprietari dei vaccini in via di sviluppo, la francese Sanofi non è riuscita a sviluppare il suo vaccino, la tedesca BioNTech ha preferito allearsi con l’americana Pfizer. Inoltre, il mantenimento della filiera produttiva nell’Ue si basa sulle forniture da Stati Uniti, Regno Unito e India. Perciò, nonostante il ruolo di esportatore, l’Ue dipende per ingredienti, lavorazione e brevetti anche da altri soggetti e non può definirsi del tutto autonoma.
Senza il contributo finanziario dell’Ue alla ricerca non sarebbe stato possibile avere vaccini, ma a differenza di Usa e Regno Unito, l’Ue non ha affrontato il collegamento tra la proprietà di tutta la filiera e il concetto di “autonomia strategica” così ricorrente nei documenti della Commissione europea. Bruxelles ha affrontato la corsa al vaccino come una questione contrattuale, legalistica e commerciale, con l’obiettivo di impedire una guerra fratricida tra i Paesi europei e non sprecare risorse. Usa e Regno Unito invece hanno affrontata la stessa sfida come un’alleanza con le case farmaceutiche per superare la crisi/guerra, mettendo in conto delle perdite.
Mosca e Pechino hanno preferito usare i loro vaccini per cercare di rafforzare la propria posizione nel mondo
Per uno Stato nazionale superare la pandemia è prima di tutto una questione strategica. Chi vaccina più velocemente i suoi abitanti si libera dalle restrizioni prima degli altri, e potrà riemergere dalla pandemia anche sul piano economico, ma non solo. Russia e Cina hanno scelto di usare la capacità dando la priorità all’offerta di vaccini ai Paesi in difficoltà trascurati da europei e angloamericani, trascurando le campagne vaccinali nazionali. Mosca e Pechino hanno preferito usare i loro vaccini per cercare di rafforzare la propria posizione nel mondo, e l’interesse degli europei per lo Sputnik V dimostra il potenziale valore geopolitico di questa scelta.
Ma dietro le aperture disordinate al vaccino russo e alla nervosismo intorno al vaccino britannico di Oxford/AstraZeneca, c’è l’attesa dei governi europei per il soccorso da oltreoceano. Le parole delle settimane scorse del premier Mario Draghi «o ci sarà un coordinamento europeo o faremo da soli» non erano un modo per andare contro l’Ue, ma per chiedere l’intervento della Casa Bianca, dato che quel «faremo da soli» nella realtà diventa un «ci rivolgeremo ai russi».
La missione negli Usa del ministro degli esteri, Luigi Di Maio, il primo a essere ricevuto dalla nuova amministrazione, ha lo scopo di sbloccare lo stallo dopo le telefonate di Draghi con gli amministratori delegati delle principali case farmaceutiche statunitensi. Di Maio ha parlato anche con il virologo Anthony Fauci, uno dei pochissimi consiglieri di Joe Biden che può dire al presidente che il governo federale è in grado di dare il via libera all’export di dosi dagli Usa all’Europa.
Negli Usa la campagna vaccinale procede a pieno regime
Oltreoceano la campagna vaccinale procede a pieno regime, l’America è l’unica delle grandi potenze che sta esercitando tutta la sovranità vaccinale per produrre dosi con il fine quasi esclusivo di vaccinare in massa la propria popolazione. Biden ha scelto di occuparsi prima degli americani, ma gli USA sono dotati di abbastanza dosi in eccesso da permettersi di fornire ai Paesi europei il supporto necessario a superare lo scoglio di una carestia vaccinale che rischia di spaccare l’Unione, obbligando i governi ed entrare in competizione tra loro per costruire legami e cercare soccorso da Mosca e Pechino, mentre Washington ha bisogno esattamente del contrario.
Il fallimento del piano vaccinale sta mettendo l’Ue di fronte a tutti i suoi limiti, dalla dipendenza dalle relazioni transatlantiche (rovinate dalla presidenza Trump) alle disfunzioni dell’esecutivo europeo: o si riesce a rimediare, o il futuro dell’integrazione comunitaria sarà estremamente complicato. Dopo le ferite della pandemia arriveranno le ferite della crisi economica, e i conflitti della rinnovata competizione tra potenze. Le conseguenze geopolitiche della pandemia sono appena all’inizio, la parte più difficile non è alle nostre spalle.
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