Con una sola dose di Pfizer si è più protetti di chi è già stato malato di Covid, anche rispetto alle varianti
Una sperimentazione condotta su un piccolo gruppo mostra come il vaccino BNT162b2 di Pfizer sarebbe già efficace con una singola dose. Si osserva una maggiore protezione anche rispetto ai pazienti precedentemente colpiti dal nuovo Coronavirus. I risultati sono apparsi in un articolo del New England Journal of Medicine il 7 aprile. I ricercatori israeliani mostrano una considerevole densità di anticorpi neutralizzanti. Risultati positivi anche riguardo alle varianti Covid di maggiore preoccupazione (VOC): inglese (B.1.1.7), sudafricana (B.1.351) e brasiliana (P.1).
I risultati prima e dopo la dose
Il gruppo preso in esame era composto da sei donne, tutte operatrici sanitarie, tra i 32 e 67 anni. Dai loro campioni sono risultate alte attività neutralizzanti, non solo per il ceppo originale di Wuhan, ma anche per le varianti di maggiore preoccupazione. I medici hanno analizzato i sieri prima e dopo l’inoculazione, confrontando 18 campioni.
«Questo studio ha mostrato che, nella nostra piccola coorte, una dose di vaccino ha sostanzialmente aumentato l’attività neutralizzante contro tutte le varianti testate, con titoli simili rilevati tra i pazienti per ciascuna variante – spiegano gli autori – Ciò evidenzia l’importanza della vaccinazione anche in pazienti precedentemente infetti, dato l’ulteriore vantaggio di una maggiore risposta anticorpale alle varianti testate».
Questi dati, pur provenendo da un piccolo gruppo, erano sostanzialmente attesi. Viene confermato infatti quanto già sapevamo sulla immunità naturale, suscitata quindi da una infezione reale. Questa si stima non duri più di qualche mese per SARS-CoV-2. Gli alti titoli neutralizzanti dopo la prima dose di Pfizer, a 12 settimane dall’infezione, rispecchiano la nostra idea di immunità indotta dal vaccino.
Limiti e opportunità
Dall’analisi dei preparati, somministrati dopo l’infezione, i titoli neutralizzanti erano relativamente pochi con l’immunità naturale rispetto alle varianti brasiliana e sudafricana; quest’ultima in particolare aveva dato qualche indizio ai ricercatori di avere potenziali capacità nell’evadere la risposta immunitaria.
I limiti dello studio – al di là del piccolo campione considerato – consistono principalmente nel fatto che riguarda sole donne. Queste corrono statisticamente meno rischi, rispetto ai maschi, di contrarre forme gravi di Covid-19. Inoltre, i ricercatori non hanno esaminato la seconda linea di difesa del sistema immunitario: quella dei linfociti T, che costituiscono la cosiddetta immunità cellulo-mediata. I ricercatori auspicano di ripetere le sperimentazioni anche dopo la seconda dose.
«Ulteriori studi potrebbero indagare gli effetti di una seconda dose di vaccino – concludono i ricercatori – sull’attività neutralizzante contro varianti preoccupanti in persone sono state [o meno] precedentemente infettate».
Come avevamo visto in un precedente articolo, Pfizer ha potuto accertare ottimi risultati dopo 28 giorni dalla prima dose del vaccino e a una settimana dalla seconda somministrazione, con una efficienza superiore nel prevenire le forme gravi.
Non è detto quindi che prima del richiamo nessuno risulti immunizzato, non di meno dagli studi è emerso che dopo sette giorni dal completamento della vaccinazione, l’immunizzazzione avviene mediamente nel 95% dei volontari presi in esame. In altre analisi l’intervallo oscilla tra l’89,9% e il 97,3%.
Foto di copertina: JFCfilms | Una dose di vaccino Pfizer.
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