Dopo lo stop ad AstraZeneca, la sospensione di Johnson & Johnson: l’eccessiva cautela sui vaccini è dannosa?
Il terrore infondato contro il vaccino anti Covid19 di AstraZeneca (Vaxzevria) è senza precedenti, dove presunti ed estremamente rari eventi aversi su milioni di somministrazioni hanno convinto le agenzie del farmaco di diversi Paesi a comportamenti di estrema cautela che, da una parte, hanno sicuramente dimostrato quanto sia attiva la Farmacovigilanza nella tutela del cittadino e, dall’altra, incentivato l’astensione da psicosi. Il copione si ripete, almeno nella sua fase iniziale, per l’americano Janssen di Johnson & Johnson che la stessa FDA ha deciso di sospendere la sua somministrazione per presunti casi di trombosi. Cerchiamo di comprendere le motivazioni che potrebbero aver portato a scelte tanto estreme e perché dovremmo prendere esempio dal passato.
Non riscontriamo casi simili che attestino una sospensione da parte delle autorità nazionali, neanche in via cautelativa, di un farmaco o un vaccino per numeri così piccoli e nemmeno provati. Un fattore da tenere in estrema considerazione è quello dell’eccezionalità della situazione, di fatto non capita spesso di dover affrontare una pandemia di questo genere riuscendo a sviluppare in tempi brevi un prodotto capace di far avviare una vaccinazione di massa senza precedenti. Un confronto può essere fatto con cautela con il vaccino contro la poliomielite in Italia.
Agli inizi degli anni Cinquanta venne sviluppato un prodotto estremamente efficace quanto facile da somministrare. Parliamo del vaccino a virus attenuato di Albert Sabin, autorizzato nel 1963 e reso obbligatorio nel 1966 nel nostro Paese, che però aveva un evidente problema: una possibilità su 750 mila di contrarre la malattia proprio a causa del vaccino. Un evento raro che, rispetto al numero di casi senza il vaccino, non sbilanciava il rapporto rischi e benefici.
Perché il vaccino di Sabin non venne sospeso come nel caso di AstraZeneca o Johnson & Johnson? All’epoca il rischio venne considerato del tutto tollerabile e più efficace rispetto a quello inattivato di Jonas Salk, che venne utilizzato in sostituzione del primo solo dopo che la malattia scomparve quasi del tutto dal nostro Paese. Come mai? Perché il rapporto rischio e benefici era del tutto cambiato, ma solo grazie al risultato ottenuto da quello di Sabin.
Di fronte a un evento eccezionale come questa pandemia, dove durante il 2020 abbiamo assistito ad alti e bassi nella gestione dell’emergenza sanitaria, c’è un eccessiva cautela da parte dei governi e degli enti predisposti durante la campagna vaccinale. La situazione non è la stessa di quella affrontata per la poliomielite, la scienza ha fatto passi avanti rispetto agli anni Cinquanta e l’opinione pubblica è più sensibile a certi argomenti, e soprattutto abbiamo a disposizione diversi vaccini di diversa efficacia che vengono considerati come validi alternativi a un eventuale sospensione.
Per quanto riguarda Johnson & Johnson, parliamo di un prodotto americano sospeso dalla stessa FDA in via cautelativa che non mette a rischio la campagna vaccinale, essendo stati somministrati 7 milioni di dosi a fronte delle 84 di Moderna e 97 di Pfizer. Si tratta di un prodotto americano e la cautela potrebbe risultare comprensibile per evitare che il vaccino faccia la stessa fine di AstraZeneca. Ecco perché la stessa società ha deciso di ritardare la distribuzione in Europa, come riportato anche dall’EMA.
C’è un ultimo aspetto, ossia quello legale. Ne abbiamo parlato in più occasioni, spiegando che le agenzie del farmaco siano particolarmente caute, vista l’eccezionalità della situazione attuale, e in dovere di verificare che effettivamente non sussista alcun nesso di causa-effetto tra il vaccino e un presunto evento tromboembolico. Lo strumento utilizzato è quello della sospensione, non del blocco definitivo, in attesa di fornire una risposta che tuteli anche lo Stato a livello legale anche considerando la presenza di «validi vaccini alternativi». In ogni caso, almeno in Italia, la legge n.210 del 1992 prevede un indennizzo per provato danno da vaccino che viene applicata anche per i vaccini antipolio.
Fino ad ora il rapporto rischi benefici è di gran lunga a favore dei vaccini attualmente in uso, soprattutto di fronte a eventi con nessi non accertati, ma tutta questa cautela ha un prezzo: la psicosi scatenata dalle sospensioni e da come vengono comunicate, soprattutto se un giorno un ente riporta dichiarazioni estremamente contrastanti da un giorno all’altro. C’è un ulteriore prezzo da pagare, molto più salato: il numero di persone che potrebbero perdere la vita a causa dello stop. Nel caso della poliomielite, come riporta lo storico della medicina Giorgio Cosmacini, il dirardo dell’adozione del vaccino di Sabin costò circa 10 mila casi con oltre mille morti e 8 mila paralisi.
Certo, abbiamo delle alternative ai vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson, ma non abbiamo un numero sufficiente di dosi Pfizer o Moderna capaci di garantire una copertura vaccinale in tutto il mondo. Il rapporto rischi e benefici di tutti i vaccini fino ad oggi autorizzati dall’EMA è del tutto positivo, ecco perché dovremmo tenere a mente l’esempio della gestione poliomielite con il vaccino Sabin: procediamo e usciamo dalla crisi il prima possibile per evitare altre vittime, anche (e forse soprattutto) per evitare lo sviluppo di nuove varianti.
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