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L’Italia ha ingannato l’Ue sulla pandemia? Un documento del 2017 sotto la lente della Procura di Bergamo

15 Aprile 2021 - 14:54 Redazione
«Nel 2009 è stata svolta una sostanziale revisione del piano pandemico», si legge nel file inviato alla Commissione europea. Ma la risposta del nostro Paese all'emergenza Covid solleva più di una domanda

Come mai l’Italia, nel 2017, disse alla Commissione europea che il piano pandemico del 2006 era stato rivisto in modo sostanziale? Come mai disse, in altre parole, che gli ospedali erano pronti a reggere l’urto, in caso di pandemia, e che le scorte di dispositivi sarebbero bastate? A volerci vedere chiaro è la Procura di Bergamo, come riporta l’Agi, anche per dare una risposta ai tanti familiari delle vittime del Covid. L’Italia, è la domanda alla base delle indagini, ha ingannato l’Unione europea?

Il documento di autovalutazione del 2017

Tutto nasce da un documento di autovalutazione triennale che l’Italia, nel 2017, invia alla Commissione europea. A spedirlo è la funzionaria del ministero della Salute Loredana Vellucci e l’oggetto è lo stato di preparazione del nostro Paese in vista di una possibile emergenza pandemica. «Nel 2009 è stata svolta una sostanziale revisione del piano pandemico in occasione dell’influenza suina», si legge sul documento. Poi, però, alla prova dei fatti, l’Italia si è fatta trovare del tutto impreparata. In un primo momento mancavano persino i dispositivi di protezione individuale.

«Se effettivamente il piano fosse stato aggiornato in maniera sostanziale – spiega Pier Paolo Lunelli, direttore di Anagenesis, il Centro di ricerca e monitoraggio di pianificazione pandemica – quello nuovo sarebbe in Gazzetta Ufficiale per sostituire il precedente del 2006 che invece è rimasto in vigore». Quello del mancato aggiornamento del piano pandemico è un fatto che ha coinvolto anche il direttore aggiunto dell’Oms Ranieri Guerra, indagato per false dichiarazioni dai pm. Queste autovalutazioni, fatte nel 2017, sono state compilate a novembre: poco prima Guerra aveva lasciato il suo incarico di direttore generale della Prevenzione al Ministero della Salute al suo successore Claudio D’Amario. La ministra della Salute all’epoca dei fatti era Beatrice Lorenzin.

Le risposte del ministero

Alle domande se l’Italia si fosse dotata di un piano per garantire l’assistenza primaria negli ospedali e se ci fosse una chiara catena di comando, il ministero risponde in maniera affermativa, sostenendo pure che sarebbe stato costituito un Comitato nazionale responsabile del coordinamento. Ma quando sarebbe entrato in funzione? Affermativa anche la risposta alla domanda se sia stata fatta «una valutazione delle necessità di procedere a uno stoccaggio strategico di scorte, materiali e impianti». «Se la risposta è sì – si chiede Lunelli – perché non avevano scorte e dispositivi di protezione individuali?».

Foto in copertina: ANSA/FABIO FRUSTACI

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