Il sottosegretario Sileri critica le riaperture del governo: «Avventate. I numeri andavano consolidati» – L’intervista
Al quarto piano del ministero della Salute il sottosegretario Pierpaolo Sileri attende notizie sulla decisione definitiva per le riaperture del Paese. Nelle stesse ore del pomeriggio il premier Mario Draghi annuncia ufficialmente la data del 26 aprile per un via libera sperato da tempo. Forse una buona notizia per chi da mesi si è guadagnato la fama di “aperturista” della prima ora. Definizione che ora più che mai pone Pierpaolo Sileri dall’altra parte della barricata, lì dove il ministro della Salute Roberto Speranza, conosciuto come rigorista, è alle prese con una mozione di sfiducia da parte dell’opposizione.
Sileri, il 26 aprile si riapre. Ristoranti anche di sera, sport, cinema e teatri all’aperto. Cosa ne pensa un’aperturista come lei?
«Che dobbiamo essere realisti. I dati di oggi raccontano di un miglioramento e questo fa ben sperare. Ma riaprire così in anticipo può essere sbagliato. C’è un decreto che scade il 30 aprile. La soluzione poteva essere quella di arrivare alla scadenza e ragionare sul mese di maggio con le colorazioni delle regioni. Già dai primi del mese alcuni territori sarebbero tornati in giallo, forse qualcuna in arancione o rossa. Sarebbe potuto essere necessario un sacrificio per lasciar consolidare i numeri e quindi riaprire progressivamente cinema, teatri e ristoranti, considerando come periodo sicuro quello a partire dal 15 maggio. E poi ancora più libero e sicuro quello a partire dai primi di giugno.
Per queste date appena citate riusciremo ad avere almeno i tre quarti di popolazione a rischio vaccinata con la prima dose. L’obiettivo è quello di arrivare alla protezione di gregge della popolazione più fragile. Abbiamo ancora almeno 4 milioni di persone tra i 70 e gli 80 anni e circa 1 milione di over 80 da vaccinare. Concludere con le loro somministrazioni e con quelle dei soggetti fragili più giovani vuol dire mettere in sicurezza la stragrande maggioranza delle persone che rischiano di finire in terapia intensiva. Solo a quel punto possiamo parlare di riaperture più complete».
Ora parla da rigorista. Eppure, rispetto al ministro Speranza, ha sempre avuto una posizione più possibilista in merito a riaperture e allentamenti.
«Questa contrapposizione non esiste e non è mai esistita. Non sono un aperturista cieco e neanche un rigorista bieco. Sono prima di tutto un medico. Cosa dico al paziente che si viene a curare da me e che vuole guarire il prima possibile perché deve tornare a lavorare? Dico che la ferita potrebbe guarire tra due settimane ma che considerato il disagio generale della sua condizione è possibile provare ad aggiornarci a una settimana. Questo per dire che le condizioni cliniche spesso devono incontrarsi con l’esigenza del soggetto. Su questo ovviamente qualcuno deve prendersi il rischio garantendo un controllo vigilato».
E allora perché in questo caso non è d’accordo con le riaperture “vigilate”?
«Perché ci sono momenti in cui la parte sanitaria deve necessariamente prevalere su quella economica. In altri si può agire al contrario. Aprire con una circolazione del virus di 20-25 casi ogni 10mila abitanti non è fattibile. Oggi siamo a 16 ogni 10mila. Molto meglio di un mese fa ma ancora molto lontani dall’ideale. Può essere fatto solo se si è raggiunta una grossa quota di vaccinati che ci permettono di essere certi che a un mese dalla somministrazione quel dato di incidenza calerà drasticamente. E questo anche con una dose soltanto, che garantisce una buona copertura preliminare».
Roberto Speranza è stato oggetto di una mozione di sfiducia da parte di Fratelli D’Italia. Si sente responsabile?
«Direi proprio di no. Se si colpisce Speranza si colpisce anche me e mai mi sognerei di esprimermi contro l’operato del ministro. Presentare una mozione di sfiducia in questo momento colpisce non solo Speranza ma anche me e Costa. Un anno fa la tensione da alimentare era quella tra governo centrale e regioni. Oggi questo. Se poi qualche superficiale vede nelle mie critiche alla parte amministrativa del ministero un attacco alla parte politica non ha capito nulla. La mozione è completamente inutile.
Riguardo ancora alle “ale” di cui si parla non si è capito che nell’uomo di scienza coesistono due volontà, quella che vuole chiusure tempestivamente e quella più cauta. Non sono opposte ma conseguenziali. La prevalenza dell’una o dell’altra sono basate sui numeri e sulla volontà di assumersi il rischio».
Due facce della stessa medaglia. Ma quindi perché la chiamano aperturista?
«Superficialità. Io sono stato tra i primi a dire di chiudere nella prima ondata, stessa cosa nella seconda ondata. Non è sensazione né politica, sono valutazioni con i numeri. Se chiudere e aprire sono due facce della stessa medaglia io sono il bordo».
È stato fatto il suo nome come possibile successore dell’attuale ministro della Salute.
«Io torno a fare il chirurgo. Il mio capitale non è quello della politica ma quello che facevo prima in sala operatoria. Non sono emigrato a 19 anni senza stipendio in America studiando e facendo ricerca, per poi venire a fare il politico. Sto servendo il Paese ma è una parentesi, il mio lavoro è un altro. Nessuno ci crede ma quando sarà il momento vedrete».
Ha sentito Speranza oggi?
«Certo e siamo tranquillissimi. Stiamo lavorando alla rete di ricerca per le varianti, si stanno cercando 10/15 milioni di euro per creare un coordinamento centrale affidato all’Istituto Superiore di Sanità».
La sfiducia non spaventa né divide quindi.
«Possibilità di sfiducia zero».
A proposito di sfiducia, quello sui vaccini è un tema che continua a preoccupare. Dopo Johnson e Johnson si pensa ad accordi unicamente da stringere con Pfizer e Moderna. È d’accordo?
«Credo che il futuro saranno i vaccini a mRna. Ad oggi coesistono entrambi i tipi di vaccino ma è ovvio che la scienza porterà a una produzione ingegneristica più raffinata. Detto questo non credo che nel breve periodo potrà essere fattibile. Astrazeneca e Johnson&Johnson sono due ottimi vaccini che riducono le chance di morte prossime alle zero con un numero di complicanze specifiche con un’incidenza di 1 caso ogni poco meno di un milione di vaccinazioni per Astrazeneca. Ogni volta che si fa una risonanza magnetica con mezzo di contrasto 1 persona ogni 500mila tac muore. A questo non si pensa perché è una pratica entrata nella nostra normalità. Questo tipo di vaccini ancora no. La forte cultura del sospetto va sradicata».
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