Cavalli, diversità e fuga verso le metropoli: così la Silicon Valley cambia pelle – Le foto
Forse non è un caso che la copertina di Silicon Valley No_Code Life, il reportage del fotografo americano-iraniano Ramak Fazel edito da Rizzoli International, sia una distesa di nero con una scritta color argento. Questa indagine fotografica sulla scatola nera dell’innovazione mondiale – parte del progetto No_Code Life di Tod’s – si è rivelata sorprendente anche per l’autore. «Siamo partiti con un’idea – racconta Fazel a Open via Zoom – e abbiamo trovato molto altro». L’affermazione del fotografo, classe 1965, non è difficile da comprendere: tutti hanno uno stereotipo di questa porzione di terra del nord della California, dove in poco più di 120 chilometri quadrati si concentra ricchezza per 275 miliardi di dollari.
I razzi di Elon Musk e lo shopping di isole in Nuova Zelanda per sopravvivere all’apocalisse fanno parte della mitologia della Valle non meno delle start-up che diventano unicorni (aziende il cui valore supera il miliardo di dollari) in pochi mesi. Ancora oggi, a nutrire quell’immaginario ci pensano visionari imprenditori come George Gallegos di Jitterbit, ritratto da Fazel mentre si diletta nella sua passione per il volo; o Richard Jenkis di Saildrone, fotografato davanti a uno dei suoi rivoluzionari droni per la pesca. E, di sicuro, percorrendo le autostrade a sud della Baia di San Francisco, gli edifici della prestigiosa Stanford University e i campus sfavillanti delle aziende continuano a dominare il panorama.
Una rivoluzione che passa anche dai luoghi
Ma se è vero che la narrativa fatta di garage, infradito e una spregiudicata gioventù bianca di nerd lega diverse generazioni – da Steve Jobs a Mark Zuckerberg -, una mutazione del dna culturale è già in corso. Le inchieste del Congresso Usa sulle responsabilità degli oligopoli digitali per aver diffuso fake news e minacce alla democrazia, unite alle conversazioni aziendali che chiedono maggiore diversità, diritti e un approccio sostenibile al progresso, stanno spingendo il mondo della tecnologia a mettersi in discussione. Una rivoluzione – di pratiche e contenuti – che passa anche dai luoghi.
«Silicon Valley per molti è sinonimo di una società molto moderna, di infrastrutture articolate, quasi utopiche, in stile Singapore. Ma non è solo questo. È un luogo – racconta il fotografo – ancora molto legato alle sue radici agrarie, pastorali, con cavalli che pascolano, e maneggi di animali». Anche David Moretti, l’italianissimo direttore creativo della Apple, viene immortalato sul suo cavallo bianco: un benefico passatempo per dimenticare le quattro ore di auto quotidiane per raggiungere Cupertino e tornare nella sua casa di East Bay.
Moretti è uno dei tanti creativi che hanno scelto di non vivere nella bolla della Silicon Valley. Negli ultimi anni il trasferimento dei lavoratori del settore tecnologico – i cosiddetti techies – dalle case bianche con piscina di Palo Alto e SunnyVale alla vibrante San Francisco ha provocato un aumento vertiginoso del costo degli appartamenti, e una trasformazione di alcuni quartieri storici della città, dove i vecchi abitanti sono stati sfrattati per fare posto all’esercito di programmatori bianchi. Non a caso il reportage di Fazel comprende anche luoghi e persone di San Francisco, diventata a pieno titolo un angolo di osservazione della nuova Silicon Valley, quello più metropolitano e aggressivo. Alla faccia della controcultura hippie del passato.
Se è vero, come scrive Michele Lupi nell’introduzione al volume, che – con l’assenza di segnali o indicazioni stradali a contrassegnare i suoi limiti geografici – Silicon Valley può essere considerato un non-luogo per eccellenza, oggi va letta soprattutto come una potente metafora dell’innovazione: dell’accelerazione spregiudicata che ha caratterizzato i primi decenni, di soldi – tanti soldi – facili e di lussi sfacciati, dell’onnipotenza dei colossi del web e delle diseguaglianze e discriminazioni che hanno generato.
Una terra stretta tra eccellenze e discriminazioni
Allo stesso tempo però, le strade e la quotidianità raccontano di un luogo che sta cambiando pelle, provando a riscattarsi dall’immagine di prepotenza bianca che si è imposta negli anni zero, e ad aprirsi a una maniera diversa – più equa e sostenibile – di disegnare l’innovazione. La pandemia ha fatto il resto: nonostante il settore tecnologico sia quello che ha maggiormente beneficiato della vita in lockdown – la capitalizzazione di mercato di Apple, Facebook, Google e Amazon è cresciuta di circa il 50% – gli sfarzi dei primi anni Duemila, racconta il New York Times, sono stati sostituiti da investimenti più solidi e feste via Zoom.
Certo, la redenzione non vale per tutti. Il 18 febbraio – il giorno in cui gli azionisti dell’azienda di sorveglianza Palantir hanno ricevuto i guadagni dell’entrata in borsa – è stato battezzato dai neo-milionari “il giorno della giraffa”: quello in cui hai guadagnato talmente tanti soldi da poter acquistare l’animale esotico con una transazione.
Ed eccola qui la natura ibrida descritta da Lupi di una terra stretta tra cavalli da cavalcare e giraffe da comprare, eccellenze e discriminazioni. Alla ricerca della sua vera natura, che forse è essa stessa ricerca. Perché, in fondo, come dice Fazel: «Queste fotografie più che spiegare un luogo spero che aprano una conversazione».
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