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Fondi russi, varianti e l’enigma dei dati: quello che non torna della passione italiana per lo Sputnik V

19 Aprile 2021 - 06:01 David Puente
In attesa che Mosca rilasci finalmente i dati sul farmaco, abbiamo indagato sulla relazione tra la Russia e tutti i soggetti coinvolti nella sperimentazione e nella eventuale produzione in Italia

Il recente accordo tra lo Spallanzani di Roma e la russa Gamaleya per la sperimentazione sul vaccino Sputnik V ha radici profonde. Per parlarne dobbiamo prima spiegare che cos’è e che cosa fa la Russian Direct Investment Fund, in breve RDIF, un fondo istituito nel 2011 dal Cremlino con il compito di investire nelle società leader della Federazione russa. Non possiamo negare che la Pandemia Covid19 abbia in qualche modo attivato gli interessi economici e geopolitici, in particolari quelli della Russia che sul proprio vaccino proseguono con annunci propagandistici piuttosto che fornire i dati a chi ne fa richiesta. Dietro le quinte troviamo proprio il RDIF, anche in Italia.

Non stiamo parlando di oscuri segreti, che il fondo russo operi nel nostro Paese non è affatto una novità! Basta fare qualche semplice ricerca per riscontrare un accordo del 2013 tra RDIF e il Fondo Strategico Italiano (FSI) siglato a Trieste da Vladimir Putin e l’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta. Tra i presenti c’era anche l’amministratore delegato del fondo russo, Kirill Dmitriev. Nel 2019 aveva sottoscritto un accordo con la Cassa Depositi e Prestiti (CDP, controllata dal Tesoro) per un investimento di 300 milioni di euro nelle società italiane intenzionate a crescere nel mercato russo.

La firma del «Commendatore» russo

In una relazione del Copasir pubblicata il 5 novembre 2020, quella sulla «tutela degli asset strategici nazionali nei settori bancario e assicurativo», viene dedicata un’appendice intitolata «La penetrazione di capitali russi nel tessuto economico italiano» dove si descrive la postura del Governo italiano nel favorire lo sviluppo dei progetti portati avanti dal RDIF nel nostro Paese, così come il mantenimento dei buoni rapporti diplomatici con i loro vertici come l’amministratore delegato Kirill Dmtriev insignito dell’Ordine della Stella d’Italia lo scorso 14 maggio. Sia nel sito dell’ambasciata italiana a Mosca, sia nella relazione del Copasir, si fa cenno proprio al «supporto» della Russia all’Italia nella lotta alla Covid19. Chi è uno dei firmatari dell’accordo Spallanzani-Gamaleya? Kirill Dmtriev, come riportato nei documenti pubblici della Regione Lazio (a pagina 78 del bollettino ufficiale n.37 del 2021).

Le firme presenti nel Memorandum siglato tra Italia e Russia.

La propaganda

Il direttore dello Spallanzani esclude logiche geopolitiche negli accordi presi con i russi, ma visto il contesto risulta lecito dubitarne. Sta di fatto che di Sputnik V non sappiamo molto, se non dal punto di vista della propaganda. La Russia non fornisce i dati, l’EMA li richiede per poterlo valutare e nutre dubbi sulla stessa sperimentazione, eppure si parla di un prodotto che sarebbe già stato – secondo dichiarazioni russe a Report – somministrato addirittura a inizio pandemia nel 2020 e alla figlia di Putin in piena estate. Il leader russo sostiene di essersi vaccinato, ma l’unica foto utilizzata per raccontarlo è quella scattata nel 2017 pubblicata dall’account Twitter di Sputnik lo scorso 23 marzo 2021.

La foto del 2017 usata nel 2021 per annunciare la vaccinazione di Putin.

Dall’account Twitter di Sputnik è stato fissato un tweet con l’elenco dei 60 paesi del mondo in cui verrebbe somministrato, come il Venezuela che sosteneva di avere una cura contro la Covid19. C’è anche la Slovacchia, che di recente ha denunciato l’incoerenza del vaccino con quello pubblicato su Lancet, uno studio attualmente contestato e che aveva convinto molti delle capacità del prodotto.

Immagine tratta dall’account Twitter di Sputnik, nel tweet fissato del 12 aprile 2021.

Qualcosa non quadra in Italia. Ricordate l’annuncio della Camera di commercio italo-russa per la produzione in Italia di 10 milioni di dosi da parte della società italo-svizzera Adienne? Un numero che il Presidente della società, Antonio Francesco Di Naro, aveva smentito in un’intervista all’HuffPost pubblicata lo scorso 10 marzo:

Colombo: «Presidente Antonio Francesco Di Naro, la sua azienda – la Adienne che ha sede in Brianza – è pronta davvero a produrre 10 milioni di dosi del vaccino Sputnik entro la fine dell’anno?»

Di Naro: «No.»

Colombo: «È la Camera di Commercio italo-russa che ha parlato di una vostra produzione da 10 milioni di dosi entro dicembre.»

Di Naro: «Ha sbagliato.»

Colombo: «Scusi, ma le informazioni non coincidono. Come si è generato questo cortocircuito?»

Di Naro: «Non lo so, deve chiederlo alla Camera di commercio. Io ho chiesto di ritirare quell’informazione. Adienne e il Fondo sovrano non hanno mai detto che avrebbero prodotto 10 milioni di dosi già da luglio, né arriveremo a questo numero alla fine dell’anno.»

Il confronto con AstraZeneca

Lo Spallanzani testerà Sputnik V su alcuni volontari che precedentemente avevano ottenuto la prima dose del vaccino AstraZeneca. Come spiegato dal direttore sanitario Francesco Vaia a Open, l’obiettivo è quello di fornire una risposta ai «perplessi» del prodotto ango-svedese a seguito di una «comunicazione non molto corretta».

Che Sputnik voglia proporsi come alternativa ad AstraZeneca? Quest’ultimo è stato mediaticamente e politicamente massacrato, messo sotto una continua lente di ingrandimento dagli scienziati ed esperti attraverso i dati forniti dalla stessa società che altrimenti non avrebbe mai avuto l’autorizzazione dall’EMA. Perché si stiamo affidando a un vaccino russo di cui non abbiamo nulla di concreto?

Il capo laboratorio di Gamaleya, Vladimir Gouschin, aveva dichiarato a Report che il prototipo dell’adenovirus per Sputnik V era già pronto a febbraio 2020. Più sorprendente le dichiarazioni di Alexander Semikhin, capo delle tecnologie dell’Istituto russo: «Il 90% dei dipendenti dell’Istituto ha deciso di vaccinarsi ancora prima dei test». Quando? A marzo 2020. Quanti erano i dipendenti? Come mai nello studio di fase 1/2, pubblicato il 4 settembre 2020, i volontari erano a malapena 120?

Chi ce lo dice che nessuno, dai dipendenti di Gamaleya a coloro che sono stati sottoposti alla sperimentazione, abbia segnalato una reazione al vaccino o sia deceduto per un evento raro di trombosi? Abbiamo i dati della farmacovigilanza russa in merito a questo come quelli pubblicati dall’Italia, Regno Unito e Unione europea in generale? Chi ce lo dice che non sia identico ad AstraZeneca o Johnson & Johnson, entrambi basati sulla stessa tecnologia degli adenovirus? Aspettano di fornire tutti i dati e la richiesta di autorizzazione dall’EMA seduti lungo la riva del fiume in attesa che i diretti concorrenti vengano eventualmente ritirati dai piani vaccinali nazionali europei?

La strana storia delle varianti

Quello dei volontari già vaccinati con AstraZeneca (e altri vaccini) non è l’unica sperimentazione presente nell’accordo con i russi. Lo Spallanzani ha il compito di verificare l’efficacia dello Sputnik V contro le varianti, ma quali e perché? Leggiamo dal Memorandum pubblicato dalla Regione Lazio:

L’INMI gestisce una delle più grandi banche biologiche dell’Unione Europea per gli agenti virali. Per quanto riguarda la SARS-CoV-2, l’INMI ha già registrato su GISAID e EVAg, e conserva legalmente 120 ceppi virali di SARS-CoV-2; questi includono anche le varianti (VOC) B.1.1.7 (UK) e P1 (Brasile). INMI è inoltre in grado, attraverso la collaborazione con altre istituzioni di avere accesso ad altre varianti tra cui B.1.351 (South Africa). Nell’ambito di questa collaborazione INMI si farà parte attiva per condividere questi ceppi con il Centro N.F.Gamaleya.

L’Italia, dunque, è in possesso di una banca biologica contenente le varianti della Covid19 come quella brasiliana e quella sudafricana. La Russia non ne è in possesso? Eppure a marzo Alexander Gorelov, vice direttore dell’Istituto di epidemiologia di Rospotrebnadzor, sosteneva che i test effettuati in Russia sulla variante sudafricana avevano dato esito positivo sia per Sputnik V che per EpiVacCoriona (l’altro vaccino russo). Il dettaglio degli studi? Gorelov non li ha forniti, come riportato da Reuters.

Gli studi non russi

Di fronte a tanti dubbi e tante domande su un vaccino che viene benedetto dalla politica e dalla propaganda prima ancora della scienza, quest’ultima cerca di fornire risposte dall’estero. Ci avevano provato gli argentini con uno studio sui vaccinati Sputnik V arrivando a riscontrare gli anticorpi nel 100% dei casi, ma a rendere vano il tutto è un “piccolo” dettaglio: i dati più significativi dello studio provenivano da soggetti precedentemente positivi al Sars-Cov-2 e che potevano aver sviluppato gli stessi anticorpi.

C’è un altro studio in corso, quello messo in atto dall’Università di Ferrara su 10 mila cittadini di San Marino, circa un terzo della popolazione della piccola Repubblica sottoposta al vaccino Sputnik V. Questa iniziativa dovrebbe far comprendere i più innamorati del vaccino russo che gli scienziati vogliono saperne di più di questo prodotto tanto discusso e a dir poco “segreto”. Speriamo che questi dati siano disponibili quanto prima, facendo attenzione a tutti i dettagli possibili affinché non faccia la stessa fine di quello argentino. A tal proposito, il 16 aprile abbiamo inviato alcune domande via email al Prof. Michele Rubini dell’Università di Ferrara, vi terremo aggiornati.

Tornando a quello dello Spallanzani e Gamaleya, i volontari saranno proprio gli italiani. Possibile che la Russia, con i suoi oltre 144 milioni di abitanti, necessiti di ottenere dei dati proprio in Italia? Questo studio è diverso dagli altri, avendo come scopo fare dei paragoni tra Sputnik con gli altri vaccini incluso quelli già dichiarati efficaci e sicuri, come Pfizer. Si vogliono ottenere dei dati da un Paese estero che ci metta la faccia insieme a loro?

Potevamo produrre Pfizer

Se tutto andrà bene, e un altro vaccino farà senz’altro comodo a tutti, la produzione verrà avviata anche in Italia con un piccolissimo problema: Sputnik, rispetto agli altri vaccini, è più complicato da produrre soprattutto perché utilizza due adenovirus diversi al contrario del singolo utilizzato sia da AstraZeneca che da Johnson & Johnson. Il Presidente di Adienne ne è consapevole e, come dichiarato nell’intervista rilasciata all’HuffPost, ritiene che la sua società ha firmato l’accordo perché consapevole di poter gestire lo sforzo necessario. Aveva dichiarato anche altro, ossia che poteva benissimo impegnarsi a produrre Pfizer se avessero bussato alla sua porta. Perché, a questo punto, le istituzioni non lo hanno contattato per produrre uno dei vaccini che fino ad oggi sono ritenuti i più sicuri ed efficaci contro la Covid19? È probabile che il peso economico, e geopolitico, sia considerevole soprattutto se di mezzo c’è un colosso come la RDIF dietro tutte queste operazioni.

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