Crisanti: «Le riaperture? Ogni volta gli stessi errori. La mia ricetta per uscire dall’emergenza in 8 mesi» – L’intervista
«Ogni volta gli stessi errori. Non si impara mai. È incredibile». Il professor Andrea Crisanti, direttore di Microbiologia e virologia dell’Università di Padova, boccia su tutta la linea le «riaperture ragionate a partire dal 26 aprile», annunciate dal presidente Draghi lo scorso venerdì. Il problema, secondo Crisanti, sta proprio in quell’aggettivo: «ragionato». «”Ragionato” non è un termine scientifico – spiega a Open -. Il rischio può essere calcolato, valutato o interpretato, semmai». E aggiunge: «Se si tratta di un rischio calcolato, quanti casi e quanti morti sono stati messi in conto? Se hanno fatto questo calcolo sarebbe meglio ci venisse detto, perché sapremmo cosa rischia l’Italia». Una nodo apparentemente lessicale ma che, a detta del professore di Padova, porta con sé forti ripercussioni sull’effettiva ripresa dell’Italia dalla pandemia di Coronavirus.
Professor Crisanti, quali sono i dati necessari per poter parlare di “rischio ragionato”, così come definito dal presidente Draghi?
«Il rischio può essere calcolato, valutato o interpretato, non “ragionato”. Deve essere calcolato in termini di probabilità e di conseguenze. Tradotto: che probabilità c’è che la trasmissione del virus riparta? E poi: quanti morti in più ci si aspetta? Questi sono i termini della discussione. Non ci sono altri calcoli né ragionamenti da fare».
A dicembre, sulle riaperture lei sosteneva che si stavano vendendo «false speranze, intercettando il desiderio della gente di liberarsi dall’incubo». È ancora così?
«Siamo nella situazione, non è cambiato niente».
Sempre in quell’occasione parlò anche «di ossessione della zona gialla». Questa tornerà dal 26 aprile, in modalità “rafforzata”. Che ne pensa?
«Sono tutte misure fatte senza nessuna valutazione. Nel Regno Unito hanno eliminato alcune misure di distanziamento sociale e portato il Paese in una situazione che è esattamente quella che si intende replicare in Italia a partire dalla prossima settimana. Però con dei parametri completamente diversi. Allora o siamo noi irresponsabili nei confronti della salute o sono irresponsabili gli inglesi nei confronti dell’economia. Non c’è una via di mezzo».
Per la riapertura delle scuole si ipotizza una presenza al 100% per tutti, con lezioni all’aperto, screening, ingressi scaglionati. Basterà?
«Non si sa nulla, sono solo ipotesi. La decisione di tenere le scuole aperte o chiuse la si fa senza nessun dato alla mano. Non c’è nessuna informazione che giustifichi né l’una né l’altra scelta».
Cosa ne pensa dei pass per gli spostamenti?
«Dipende da come sono impostati e da quali parametri vengono presi in considerazione. Se è basato sul tampone rapido è una boiata pazzesca. Se è basato sulla vaccinazione c’è un problema etico, perché ci sono persone vaccinate per priorità e altre no. L’opzione sui guariti dalla Covid, che hanno quindi gli anticorpi, ha già qualche fondamento in più. Ma è da monitorare».
Professore però pragmaticamente, dopo oltre un anno di chiusure a singhiozzo, una strada per uscire da questa situazione in sicurezza ci sarà pure, no?
«Certo che c’è. Anzitutto bisogna mantenere le misure attuali e procedere a tambur battente con le vaccinazioni di massa. A questo bisogna unire il sequenziamento dei positivi, per capire se stanno emergendo varianti, e implementare il tracciamento. Però vanno eliminati i tamponi rapidi, che sono un elemento di confusione terribile».
E quanto tempo ci vorrà?
«In otto mesi potremmo uscirne. Però bisognerà fare investimenti nelle giuste direzioni: vaccini, tracciamento e sequenziamento delle possibili varianti. Solo questa è la ricetta per uscirne».
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