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La provincia, la depressione, la rinascita. Massimo Pericolo: «Soffro ancora, ma ho una vita decente» – L’intervista

20 Aprile 2021 - 12:41 Valerio Berra
Alessandro Vanetti, classe 1992, è uno dei nomi che negli ultimi anni hanno sollevato più interesse nella scena rap. In occasione del nuovo album «Solo Tutto», si racconta a Open

«Non voto perché tanto non serve. Non mi sposo così scopo sempre. Voglio solo una vita decente». E poi un sorriso, spensierato. Quasi fuori luogo dopo 7 Miliardi, il video che ha fatto scoprire Massimo Pericolo alla scena rap. Era il 23 gennaio 2019 e dopo quel video iniziato con una tessera elettorale bruciata, Alessandro Vanetti è diventato uno dei protagonisti di questo genere musicale. Prima con l’album Scialla Semper e ora con Solo Tutto, il secondo album pubblicato da Pluggers, Epic Record e Lucky Beard. Massimo Pericolo è stato con noi su Twitch, per una live sul nostro canale Open_Talk che potete recuperare quando volete. Questa invece è l’estratto che pubblichiamo del nostro incontro, un dialogo che è cominciato dal terreno da cui è nata la musica di questo ragazzo: la provincia, quella terra fatta di piccoli centri, viaggi in macchina e serate fatte di parcheggi, birre e vetri appannati.

La prima traccia del tuo nuovo album è Casa Nuova. E tu ora hai davvero cambiato casa, giusto?

«Sì, prima ero in un residence. Il prezzo era conveniente, avevo un posto in cui stare ma non avevo nessun comfort. Non c’era la lavatrice, non c’erano i fornelli, cucinavo su una piastra elettrica. Ora sono in questa casa nuova ed è stato un cambiamento grosso che prima non avrei potuto fare».

Sei cresciuto a Brebbia, nella provincia di Varese. Hai scelto di restare lì?

«In realtà no, sono a dieci minuti da Brebbia».

Perché non ti sei trasferito in una grande città?

«Brebbia prima non mi piaceva. E non mi piaceva perché io cercavo di cambiare la mia vita, cercavo il successo e mi sembrava che qui non l’avrei mai trovato. Alla fine invece ce l’ho fatta. E quindi ora me la vivo meglio. E riesco anche a ritrovare i rapporti con i luoghi e le persone a cui voglio bene».

E a Brebbia fai la stessa vita che facevi prima di diventare Massimo Pericolo?

«Bene o male se faccio una serata vedo le stesse cose di prima e faccio le stesse cose di prima. Ma ormai è veramente raro. Mi manca quel cazzeggio immotivato che vivevo prima. Mi mancano le serate nei parcheggi».

Quando lo hai scritto questo album?

«È stato concluso proprio nell’anno della pandemia. È stato un percorso lungo ma ho scritto fino a poco prima della pubblicazione».

In una vecchia intervista hai detto che quando è cominciata la pandemia è come se si fosse creato un vuoto che hai riempito. L’isolamento dell’ultimo anno ha cambiato i testi delle tue canzoni?

«Non so quanto abbia cambiato le tematiche. Più che altro questa interruzione di tutto mi ha costretto a pensare. Io sono già uno che pensa tanto di mio, questa situazione mi ha fatto fare riflessioni più mature su tante cose come il senso di colpa o la paura di perdere dei legami».

Per cosa ti senti in colpa?

«Per tutti gli amici che sono cresciuti con me, con le mie stesse difficoltà. Prima guardavo chi stava meglio, ci stavo male e dicevo: “Cazzo perché io no?”. Ora io me la sono cavata ma tanti amici vivono ancora brutte situazioni».

In questo album ci sono tanti feat. Ma prima di quest’album c’è stato il feat con Marracash. Come è stato il pimo contatto?

«Marracash mi ha scritto quando è uscita Sabbie D’Oro. Mi ha detto: “Sento che veniamo dallo stesso niente”. Mi ha detto anche che aveva già in mente un progetto per fare una cosa insieme. Ho avuto una reazione quasi fisica. Sono andato in bagno e mi sono guardato allo specchio. Avevo paura di vomitare».

Spesso nelle canzoni, penso a Polo Nord, hai parlato della tua depressione e delle tue ansie. Sei ancora in terapia adesso?

«Non sono più in terapia con le medicine ma vado ancora in psicoterapia. Ormai sono quasi cinque anni… I primi colloqui con lo psicologo sono stati in carcere».

Perché hai iniziato?

«Ero depresso, a un certo punto me ne ero accorto».

È ancora difficile parlarne con gli altri?

«Io stesso non è che abbia capito di soffrire subito di depressione. All’inizio ti dai le stesse giustificazioni degli altri: è l’età, è una fase, è normale… Penso di essermene accorto a 12 anni che non stavo bene. Ma ho iniziato a farmi curare molto dopo. Le prime persone con cui sono riuscito a parlarne sono gli amici. A un certo punto avevo proprio un blocco: temevo che parlandone sarebbero diventate vere. Senza contare che spesso la risposta media che ricevi quando dici che non ti senti bene è “Ma sì, beviti una birra”».

Adesso come stai?

«Soffro, e non capisco come mai. Ho ancora dei momenti di merda, e non lo dico solo per lamentarmi. Tuttora sono in un periodo abbastanza triste. La mia vita privata è diventata più complessa, forse perché al primo posto ho messo una carriera che mi ha cambiato la vita.

Senza questo lavoro non so chi sarei, non so cosa farei. Ma mettere la carriera al primo posto vuol dire fare sacrifici anche nella vita privata. Anche in questo momento ho fatto delle scelte un po’ difficili. E sono tutte scelte fatte di testa, non di cuore».

Prima esibizione live dopo la quarantena?

«A Padova. Abbiamo già annunciato il tour».

A quando una live a Brebbia?

«Ho già tutto in testa. Vorrei farla nello stadio, nel campo da calcio con tanti ospiti. La voglio fare da anni ma non so ancora quando riuscirò ad organizzarla».

Alla fine del video di 7 miliardi sorridi e dici «Vorrei solo una vita decente». Ora ce l’hai questa vita?

«Sì. Ora ho raggiunto lo status che volevo. Adesso però devo mantenerlo».

Foto di copertina: Giulia Bersani

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