La SuperLega di calcio dei grandi club europei e l’esempio nero del rugby italiano. «Ecco come la Serie A può sopravvivere»
La SuperLega rischia di aumentare le disparità economiche, e di conseguenza tecniche, della Serie A e del movimento calcistico italiano. Lo scenario è una delle ripercussioni che la nuova competizione, annunciata dai 12 club più potenti d’Europa, potrebbe avere sugli equilibri futuri del calcio in Italia. L’accesso per patente di nobiltà, e non per merito sportivo, in una competizione che assicurerebbe introiti ingenti alle sole Juventus, Inter e Milan, rischia di tagliare fuori il resto delle squadre di A da finanziamenti e sviluppi tecnici. Questo perché, sullo sfondo di una competizione che versa nelle casse di 12 club oltre 5 miliardi, non ci sono regole alla Nba, come rilanciato erroneamente in questi giorni, quali salary cap e draft che garantiscono una ridistribuzione economica tra le squadre del superamento dei tetti degli stipendi e dei giovani talenti provenienti dai college. Eppure, un episodio per certi aspetti simili è già capitato nel panorama sportivo del Paese, in una tra le discipline considerate tra le più interessanti dal pubblico, ma, ai fatti, tra le meno vincenti nella storia dello sport italiano: il rugby. Seppur con evidenti differenze di diffusione e capitali, la gestione del movimento dell’ovale italiano, infatti, offre un caso da non ripetere.
Una superlega ovale
È il 2009. La Federazione Italiana Rugby entra nella Celtic League, torneo che racchiude la crema della disciplina di Galles, Scozia ed Eire. La competizione risale al 2001, dopo che queste federazioni uniscono le forze per creare un campionato di pari livello a quello inglese e francese, tentando di colmare il gap tecnico ed economico tra selezioni nazionali in ottica dell’allora 5 Nazioni. Con l’invito all’Italia nel 6 Nazioni, le due compagini inizialmente selezionate dalla Fir per la League sono Roma e i lombardi di Viadana, ma la scelta non piace e si accende una disputa interna ai vertici federali, cui si unisce anche la politica, con un’interrogazione parlamentare chiesta dalla Lega Nord per riferire sull’esclusione di Treviso. La bufera ricalibra i criteri delle candidature. Verranno scelte la Benetton Treviso e (creati ad hoc) gli Aironi, dalle cui ceneri nasceranno le Zebre nel 2012, squadra che raccoglierà i migliori giocatori militanti in Lombardia, Piemonte, Liguria e parte di Emilia e Toscana.
«Quello che oggi è il Pro 14 (come viene chiamata la Celtic League in seguito all’ingresso delle franchigie italiane e sudafricane n.d.r.) nasce con idee diverse da una spartizione del malloppo che supera il merito sportivo», afferma Andrea Papale, ex-rugbista e fondatore della pagina Delinquenza Ovale. «La creazione delle due franchigie arriva per far giocare all’Italia un 6 Nazioni di alto livello, torneo basato su valori comuni tra i partecipanti. Considerando che il rugby è uno sport dove vince davvero il più forte, con rari “miracoli” a differenza del calcio, è stato un atto di condivisione, ma non senza conseguenze», continua Papale. «Questo ha portato negli anni ad aumentare i divari, portando all’assenza di un campionato di livello interno in Italia dove, invece, il seguito e la pratica del calcio potrebbero aiutare le squadra a mantenere un livello identico a quello pre-Superleague. Anche perché, i problemi strutturali del rugby non esistono nel pallone. Che potrebbe anche rinascere da una svolta».
«A differenza del rugby, il calcio può salvarsi se rispetta le realtà locali»
La strategia della Federugby ha diverse lacune per certi aspetti. La creazione delle Accademia Fir ha portato la Federazione a limitare i danni con lo scopo di creare scuole dove nutrire la rosa Azzurra di talenti provenienti da varie regioni del Paese. Ma non è bastato. Negli anni, il divario economico e la ridotta concorrenza sportiva, insieme a una programmazione concentrata sulle franchigie, hanno escluso intere regioni con una buona base in quanto a diffusione della disciplina, come il Lazio, l’Abruzzo, la Campania e la Sicilia. Tagliate fuori dalla possibilità di migliorare gareggiando in un torneo di alto livello. Questo ha reso l’accesso al rugby professionistico ancora più difficile rispetto agli altri contesti europei e, per i giocatori emergenti di regioni diverse da quelle coperte dalle due franchigie, ancora più complesso accedere ai pochi contratti professionistici nel panorama del rugby.
Il quadro rivela criticità di un sistema dove oggi, dei circa 490 rugbisti iscritti alla Top-10, la Serie A del rugby in Italia, in 90, cioè i giocatori selezionati da Zebre e Benetton Treviso, si allenano e crescono in contesti di livello superiore rispetto al resto del Paese. «Al netto delle buone intenzioni, un conto è un federazione che lavora per sviluppare un movimento capillare e brillante su 12 squadre, con giocatori abituati a certi contesti e con contratti professionistici veri, un altro è avere quasi tutto concentrato solo su due squadre», dice Papale. Nel corso delle stagioni, inoltre, le due franchigie non hanno ottenuto i risultati sperati perché ancora troppo importante il divario con le rivali di Pro-14. In sostanza: i giocatori di Benetton e Zebre si confrontano con avversari esteri troppo forti; quelli dell’attuale Top-10, la Serie A del rugby, tra se stesse senza migliorare molto.
Un esempio: l’ultima squadra non settentrionale a vincere un campionato italiano risale al 2000, anno dello scudetto conquistato dalla Rugby Roma. Questo scenario ricade anche sui risultati degli Azzurri, che hanno ottimi singoli, ma una squadra complessivamente inferiore alle altre nazionali. I risultati degli Azzurri nel 6 Nazioni sono diversi da quelli di Irlanda e Galles e non solo riconducibili a una tradizione o al fatto che in quei paesi il rugby si giochi nelle scuole. I dragoni gallesi hanno vinto sei edizioni del torneo con 12 Grand Slam e due quarti posti ai Mondiali del 2011 e del 2019; l’Irlanda ha vinto 4 volte il 6 Nazioni, ottenendo tre Grand Slam. L’Italia, purtroppo, ha portato a casa 16 cucchiai di legno, cioè l’ultima posizione in classifica, su 21 edizioni.
«La storia del calcio potrebbe salvare la Serie A e tutto il movimento», afferma Papale, che è anche tifoso romanista. «Chi segue una squadra non smetterà di tifarla e se l’anno prossimo la Roma vincerà il campionato andrò lo stesso al Circo Massimo. Non sarebbe una vittoria inferiore solo per la presenza della SuperLega. Pochi giorni fa è nato il mio primo figlio», racconta Papale. «È nato durante Roma-Ajax, lo tenevo in braccio e davo anche un occhio alla partita. Il rugby in Italia non ha potuto contare su questo, il calcio sì, ma bisogna tutelarlo anche a livello istituzionale, oltre che con la passione dei tifosi. Al netto delle differenze con il rugby, sul lungo periodo, in particolare, la Serie A può trarre lezione dall’ovale in Italia, imparando che non vanno trascurare le piccole realtà. Farlo distruggerebbe anche quelle grandi, come accade sempre. Poi se tra dieci anni la Superleague sarà il top del calcio europeo, magari mio figlio stesso sarà contento di vederci la Roma».
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