Perché di SuperLega si continuerà a parlare. Gli economisti d’accordo: «Una riforma del calcio è inevitabile. I club vogliono più controllo»
«Questo sport è in un momento critico, quello che stiamo facendo è solo per il bene del pallone. Se noi generiamo profitti, ne beneficiano tutti, anche quelli che stanno più in basso». Con queste parole, il patron del Real Madrid, Florentino Perez, aveva provato a chiarire le ragioni e lo scopo della decisione presa da 12 club di lanciare una nuova competizione calcistica: la SuperLega. Nonostante l’annuncio fosse atteso da mesi, la conferma arrivata domenica notte ha spaccato il calcio europeo, con la Uefa, la Fifa, e le federazioni nazionali pronte a mettere in campo pesanti sanzioni contro i club fondatori. La nuova competizione, sull’orlo del collasso dopo le rinunce dei sei club inglesi – Arsenal, Liverpool, Manchester United, City, Tottenham, Chelsea – e dell’Inter, avrebbe dovuto prendere il via ad agosto. Che la cosa vada in porto o meno, dopo la prospettiva sempre più un concreta di uno scioglimento del progetto, la decisione presa negli ultimi giorni dai 12 dei maggiori club più titolati e ricchi d’Europa non è «una sorpresa. Era prevedibile, mi stupisco che questa scelta non sia arrivata prima», dichiara a Open Thomas Hoehn, economista presso l’Imperial College e autore dell’articolo The Americanization of European Football apparso sulla rivista accademica Economic Policy. In quelle pagine scritte nel 1999, Hoehn ipotizzava, insieme all’economista americano Stefan Szymanski la creazione di una SuperLega come la via più logica per i club europei per uscire da un modello, quello della Champions League, che non garantisce profitti e la possibilità di reinvestimenti. «Mi sembra normale che le squadre vogliano provare a creare un sistema dove sono maggiormente in controllo».
Debiti e investimenti
Secondo l’accordo raggiunto con Jp Morgan, maggior finanziatrice del progetto con un investimento iniziale di 4 miliardi di euro, ognuno dei club fondatori avrebbe ricevuto al momento dell’iscrizione un di 350 milioni di euro. E le entrate sarebbero state più del doppio di quelle distribuite dall’Uefa. Nell’ultima stagione di Champions League, i club hanno ricevuto complessivamente meno di 2 miliardi di euro. Per fare un paragone, il Bayern Monaco ha ottenuto solo 130 milioni di euro dopo aver vinto la Champions League lo scorso anno. Una cifra di 4 milioni inferiore a quella ricevuta dal Paris Saint Germain, la squadra che i tedeschi hanno battuto in finale. Un confronto che mostra come il modello di business di un gioco legato da anni a dinamiche e realtà finanziarie non sia più sostenibile. La pandemia sembra aver dato, almeno in parte, il colpo di grazie ai club più ricchi d’Europa. Secondo il report di KPMG sulle squadre di calcio europee, dei club che finora sono entrati a far parte della SuperLega, quasi tutte hanno chiuso la scorsa stagione in rosso e almeno otto hanno un debito netto superiore a 100 milioni di euro.
I limiti della Champions League
«Uno degli elementi chiave di ogni sport è che le persone pagano per vedere i migliori giocatori sfidarsi tra di loro. E uno dei problemi delle competizioni europee, fino ad oggi, è sempre stata la limitata opportunità per le grandi squadre di incontrarsi con frequenza», dice Stefan Szymanski, co-autore di The Americanization of European Football e autore di Money and Football: A Soccernomics Guide. Per l’economista della Michigan University, il cuore del problema finanziario è proprio la mancanza di match tra grandi squadre. Il sistema della SuperLega creerebbe un campionato chiuso, un po’ come quelli nazionali, senza però la retrocessione. «È chiaro che si tratta di una formula che può aumentare le disuguaglianze tra i grandi e i piccoli club. Ma il calcio non è mai stato basato sull’uguaglianza finanziaria. È sempre stato governato da ricchi imprenditori».
Il muro della Uefa
Nonostante le premesse, l’opposizione della Uefa è forte. E l’organo esecutivo del calcio europeo è pronto a una lunga battaglia legale. Secondo l’articolo 49 dello statuto dell’Uefa, l’organizzazione ha la giurisdizione esclusiva nell’organizzazione di competizioni ufficiali in Europa cui partecipano propri membri o loro club affiliati. Un articolo che secondo l’Uefa è stato quindi violato dalla SuperLega. Qualsiasi diversa competizione organizzata sul territorio europeo necessiterebbe secondo la Uefa della sua approvazione. «Sicuramente questo scenario è un tentativo da parte dei club per avere più soldi e finché non ci sarà una vera riforma le squadre più ricche continueranno a spingere per avere la fetta più grande della torta», osserva Tommaso Valletti, ex capo economista della Commissione europea per la concorrenza, e attualmente professore presso l’Imperial College di Londra. «In questo momento la Uefa è il monopolista di questa situazione e si trova in una posizione dominante. Se la Uefa fosse andata fino in fondo nella minaccia di escludere i giocatori e i club avessero presentato un ricorso alla Commissione europea, allora questa vicenda avrebbe potuto essere decisa dall’Ue». Una Ue che secondo Valletti ha tutta l’intenzione di starne fuori. «È una situazione troppo delicata, ma se si fosse arrivati fino a Bruxelles allora penso che la Commissione avrebbe dato ragione alla SuperLega».
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