Caso Ciro Grillo, ecco perché con quel video Beppe Grillo ha mandato «affa…» il se stesso politico
Perché lo ha fatto Beppe Grillo? Perché ha postato quel video che verosimilmente ne compromette ogni futuro politico? Perché lo ha riempito di cose inaccettabili? Perché ha messo in difficoltà soprattutto le donne ma anche gli uomini del suo movimento, e lo stesso Giuseppe Conte? È chiaro a tutti, anche ai super devoti che fin qui hanno taciuto e continueranno a tacere fino a ordine contrario, quanto sia ingiustificabile quel che ha detto. Anche e soprattutto per il fatto che un video di Beppe Grillo non è come il grido d’allarme di un cittadino qualunque affidato ai social: è un messaggio dall’alto (dall’Altissimo direbbe lui) che si rivolge a una comunità di simpatizzanti e di militanti fatta di milioni di persone, e arriva a un circuito ancora più ampio dell’opinione pubblica.
E questo messaggio è carico di elementi devastanti, il più grave di tutti quello che fa emergere una concezione della donna come strumento del divertimento maschile – con quel non detto ma quasi, «le piaceva, se l’è spassata e poi solo una settimana dopo, finita beatamente la vacanza, ha denunciato, magari proprio per il cognome altisonante di Ciro» – e con un’eco dell’età postribolare che fa sbalordire chi la ascolta dalla voce del fondatore di un movimento degli anni Duemila, a parole nemico di ogni soperchieria, e quindi si immagina anche quelle di genere. E altrettanto fa trasalire il ribaltamento totale del suo sentimento giustizialista, per cui il familiare di un politico per la prima volta diventa il buono e i magistrati che indagano e i giornalisti che ne danno notizia si trasformano in cattivi.
Tutto questo concentrato in due minuti affrontati come ha sempre fatto un uomo che vive da quarant’anni una popolarità enorme grazie proprio ai toni dell’invettiva gridata, un po’ paradossale e un po’ savonaroliana, una popolarità che poi è diventata ancora più ampia e addirittura internazionale per aver fondato un movimento politico che da zero è arrivato al 33% in 5 anni: e ha fondato questo suo capolavoro politico su gesti estremi, su provocazioni al limite (e anche al di là del limite) ed è infine arrivato al livello di non rendersi più conto che tutto questo non si può applicare a una vicenda personale. Un guaio che ti tocca direttamente non può essere trattato come un vaffa a un avversario. Ma neanche come una disgrazia da esorcizzare lanciando un anatema, non più paradossale, non più satirico, non più politico, ma ringhioso nei toni e patetico nei risultati.
Era doveroso e necessario mettere in fila tutti questi elementi. Ma nessuno di loro risponde alla domanda iniziale. Perché l’ha fatto? Perché semplicemente tutte le famiglie felici si somigliano, ma ogni famiglia infelice lo è a modo suo, come ci ha insegnato il più grande di tutti gli scrittori. Perché per un anno e nove mesi questa terribile vicenda ha scavato chissà quanto in quella famiglia come nelle altre cinque toccate dai fatti di quella notte. Queste storie hanno sempre o quasi come vittime collaterali i familiari di chi vi è coinvolto direttamente. E chi come me fa il giornalista da decenni ha conosciuto per lavoro, ma non solo, tanti padri e madri di vittime e di colpevoli, impotenti, spesso impossibilitati a razionalizzare quel che è accaduto, e gravati in ogni caso da un senso di colpa, motivato o no, e quasi sempre protettivamente dalla parte dei propri figli.
Sbroccando dopo un anno e nove mesi di silenzio, Beppe Grillo ha tuonato il suo atto d’amore per il figlio, il suo dolore per la propria famiglia squassata, la sua rabbia per un’inchiesta che lo condiziona da così tanto tempo. Tutto nel modo più sbagliato e forse controproducente. Tutto egoisticamente da una parte, e quindi contro l’altra. Ma come ho voluto dire subito, un genitore capisce, e non può non solidarizzare col dolore di simili situazioni. Ma Beppe Grillo è il primo a sapere che col suo video ha fatto una scelta, e col cuore e le viscere ha mandato affa… il se stesso politico, che non ha saputo aiutarlo.
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