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Chi si vaccina in Ue protegge anche gli altri? Cosa dicono alcuni recenti studi citati dall’Ecdc

25 Aprile 2021 - 08:20 Juanne Pili
I vaccini approvati dall'EMA ridurrebbero la probabilità di contagio, lo suggeriscono studi limitati

Nel technical report del European centre for disease prevention and control (Ecdc) del 21 aprile 2021 troviamo un dato, che se confermato, potrebbe rappresentare la luce in fondo al tunnel di questa pandemia dovuta al nuovo Coronavirus.

Sono emerse evidenze che – per quanto limitate – mostrano come chi è stato vaccinato in Europa anche se infetto avrebbe meno probabilità di trasmettere il virus. Non è chiaro però in che misura questi risultati si debbano anche al ricorso degli interventi non farmaceutici (NPI), come distanziamento sociale, uso mascherine, eccetera.

Rischio ridotto di contagio da individui vaccinati

Dunque si parla di alcuni indizi che portano gli osservatori a constatare una possibile riduzione della diffusione di SARS-CoV-2. Non sappiamo ancora niente di definitivo su durata dell’immunità ed efficacia contro le varianti di maggiore preoccupazione (VOC), ovvero, che mostrano la potenziale capacità di rendere il virus più pericoloso o capace di evadere la risposta immunitaria. Nel rapporto tecnico si accenna soprattutto alla variante inglese (B.1.1.7).

«Prove limitate indicano che le persone completamente vaccinate, se infette, possono avere meno probabilità di trasmettere SARS CoV-2 ai loro contatti non vaccinati – continua la relativa nota introduttiva del Ecdc – Rimane incertezza sulla durata della protezione in questi casi, nonché sulla possibile protezione contro le varianti SARS-CoV-2 emergenti». 

In sostanza è stato riscontrato come una persona, giovane o adulta, che riceve tutte le dosi previste di vaccino, ha un rischio «molto basso» di contrarre forme gravi di Covid-19. Il dato non tiene conto di chi presenta i fattori di rischio associati alla malattia, per i quali il rischio è ritenuto «basso» assieme agli anziani.

Similmente, se consideriamo il caso in cui un non vaccinato entrasse in contatto con un individuo pienamente vaccinato, esposto al rischio di infezione, il rischio che avvenga un contagio con decorso grave di Covid-19 da vaccinato a non vaccinato è da considerarsi molto basso in giovani e adulti, basso negli adulti di mezza età senza fattori di rischio, moderato negli anziani e nelle persone con fattori di rischio.

Abbiamo evidenze di una ridotta trasmissibilità?

Allora possiamo affermare che i vaccini approvati da EMA hanno mostrato di saper impedire anche la trasmissione del virus? No, ma è quanto si spera che salti fuori in studi epidemiologici più ampi. In mezzo dobbiamo contate infatti anche l’uso degli NPI. È difficile stimare con esattezza il loro impatto, il quale è associato non di meno alla relativa «scomparsa» dell’influenza stagionale. Analogamente è difficile stimare il ruolo delle VOC. Lo si evince chiaramente da alcuni passaggi finali della nota dell’Ente europeo:

«La riduzione complessiva dei rischi di una grave malattia da COVID-19 dipende dall’assunzione del vaccino e dalla copertura vaccinale nella popolazione generale ed è modulata da molti altri fattori, come l’età e le condizioni sottostanti, le caratteristiche del vaccino, le varianti di preoccupazione, l’impostazione e la situazione epidemiologica – continua la nota del Ecdc – Quando un individuo non vaccinato o individui non vaccinati della stessa famiglia o bolla sociale incontrano individui completamente vaccinati, l’allontanamento fisico e l’uso di maschere per il viso possono essere allentati se non ci sono fattori di rischio per malattie gravi o minore efficacia del vaccino in chiunque sia presente».

«Nell’attuale contesto epidemiologico nell’UE / SEE, negli spazi pubblici e nei grandi raduni, anche durante i viaggi, gli NPI dovrebbero essere mantenuti indipendentemente dallo stato di vaccinazione degli individui. I paesi che stanno prendendo in considerazione misure rilassanti per le persone completamente vaccinate dovrebbero tenere conto del potenziale di accesso diseguale ai vaccini tra la popolazione».

«Esempi di paesi in cui la copertura vaccinale è più alta e gli esiti gravi correlati a COVID e l’incidenza di SARS-CoV-2 sono successivamente diminuiti, come il Regno Unito (UK) e Israele, forniscono un’indicazione di come la trasmissione a livello di popolazione può essere ridotta con il applicazione attenta e rilascio lento delle misure di prevenzione della salute pubblica mentre l’implementazione della vaccinazione viene aumentata il più rapidamente possibile».

Alcune fonti del report su Pfizer, Moderna e AstraZeneca

Secondo uno studio in attesa di revisione (preprint) condotto in Scozia dai registri sanitari risulta una riduzione delle infezioni nelle famiglie di operatori sanitari vaccinati del 30%. I dati riguardano le sole prime dosi dei vaccini di AstraZeneca e Pfizer. Su quest’ultimo abbiamo conferme anche in un preprint israeliano, dove si vede una riduzione della carica virale nei 12-28 giorni dalla prima dose. Lo studio preprint di un modello basato sui dati della sperimentazione del vaccino di Moderna ha portato a una stima della riduzione del potenziale di trasmissione pari al 61% negli individui vaccinati. 

Una recente ricerca non ancora revisionata ha mostrato come AstraZeneca riduca la carica virale, a prescindere dalla presenza o meno della variante inglese. Dai registri dell’assistenza sanitaria spagnola è stato possibile stimare una protezione indiretta dei non vaccinati, associata alla presenza di persone che avevano assunto una prima dose di vaccino a mRNA.

Non di meno, i dati sono ancora limitati per poter dire con certezza che carica virale e durata siano un indice fedele per dedurre il livello di trasmissibilità.

«Non è chiaro se la carica virale e la durata della diffusione virale si tradurranno in una riduzione della trasmissione da individui vaccinati. Il rischio di trasmissione può anche essere influenzato dal tipo di vaccino, poiché la capacità di ridurre la carica virale nell’individuo vaccinato, se infetto, può differire tra i prodotti vaccinali – continuano gli autori – Ulteriori fattori che moduleranno il rischio di trasmissione includono lo stato immunitario dell’individuo non vaccinato; e il tempo trascorso da quando è stata ricevuta la vaccinazione, dato che il follow-up a lungo termine sulla durata dell’immunità non si è ancora verificato data la natura recente della disponibilità del vaccino».

Un confronto col caso cileno

In contrasto con quanto emerso dal rapporto tecnico del Ecdc in merito ai vaccini approvati in Europa, possiamo fare un parallelo con la situazione registrata recentemente in Cile, dove nonostante la massiccia campagna vaccinale, il Paese di trova nuovamente a gestire una crisi delle terapie intensive. Il Governo cileno aveva stretto accordi con la casa farmaceutica cinese Sinovac Biotech, distribuendo con celerità il suo vaccino CoronaVac. Metà della popolazione adulta (oltre sette milioni di persone) è stata inoculata con una prima dose di vaccino. Gran parte delle dosi erano di CoronaVac. Il Cile ha chiuso di nuovo i confini e i suoi 18 milioni di abitanti tornano in isolamento

Sapevamo già che i vaccini cinesi faticano a ricevere una approvazione in Europa attraverso l’EMA, così come il russo Sputnik V, per problemi dovuti alla limitata trasparenza con cui giungono informazioni su tali farmaci. In Cile la popolazione è stata vaccinata prevalentemente col CoronaVac (93% delle dosi). Secondo il governo cileno il problema non dipenderebbe dalla mancata efficacia dei vaccini, quanto dal lassismo generatosi a seguito dell’inoculazione, con un allentamento precoce delle misure di contenimento. Sarebbe interessante capire, per esempio, quanti ricoverati fossero stati vaccinati e quanti ancora no. Sapevamo già che i vaccini anti-Covid non hanno saputo dimostrare con assoluta certezza di saper prevenire il diffondersi del nuovo Coronavirus, quanto scongiurare i casi gravi e le morti

Resta in campo anche l’ipotesi che la presenza della variante Covid P.1 proveniente dal Brasile, possa aver determinato l’attuale crisi sanitaria in Cile. Certamente parliamo di una variante di maggiore preoccupazione (VOC), sussistono quindi indizi di una possibile maggiore virulenza o capacità di eludere le difese immunitarie. Non abbiamo invece evidenze rilevanti del fatto che possa sabotare l’efficacia dei vaccini anti-Covid. 

La differenza tra quanto riscontrato dal nostro Ecdc in Europa rispetto all’apparente flop dei vaccini in Cile potrebbe essere un ulteriore indizio di come oltre agli NPI, anche la distribuzione di vaccini efficaci possa giocare un ruolo decisivo. Così come è decisivo avere un ente regolatore come EMA, in grado di fare le pulci ai dati presentati dalle case farmaceutiche, con rigidi controlli prima della distribuzione.

Foto di copertina: ANSA/LESZEK SZYMANSKI POLAND OUT | A medical staff shows Vaxzevria coronavirus vaccine by AstraZeneca at Covid-19 vaccination point at the Military Medical Institute in Warsaw, Poland, 22 April 2021. 

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