Comunità, classificazioni, celerità: ecco perché Cuba ha risposto con successo alla pandemia
Il vaccino cubano Soberana 02 (FINLAY FR 1A) prodotto dal Finlay Institute fa parte, assieme a Soberana 01, del piano cubano contro il nuovo Coronavirus. Si basa su una porzione dell’antigene, denominata RBD (Receptor Binding Domain), che si lega alle cellule da infettare, a sua volta riconoscibile dal sistema immunitario, il quale può sviluppare così gli anticorpi per neutralizzare il virus vero e proprio. Le informazioni in merito sono limitate. Cuba punta tutto sul proprio vaccino, in vista di una sua distribuzione anche negli altri Paesi sudamericani.
Il Paese resta fuori dal Covax, ovvero il piano creato dall’Oms per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad accedere ai vaccini anti-Covid. Ora la sperimentazione di Soberana 02 dovrebbe essere entrata nell’ultima fase. Nonostante Cuba abbia risposto con successo alla pandemia, resta limitata da problemi finanziari e di rifornimento, come riporta un recente articolo di Talha Burki apparso su The Lancet. D’altra parte, il regime vigente nell’isola permette anche un monitoraggio sanitario che difficilmente potremmo avere da noi.
Tra limiti economici e vantaggi di regime
Secondo il direttore generale del Finlay Institute Vicente Verez-Bencomo, si stima che il vaccino cubano abbia un’efficacia tra l’80 e il 95%. Se tali valori venissero confermati nella sperimentazione in corso, sarebbe un’arma decisiva in più per il Paese, dove la campagna vaccinale è considerata una questione di orgoglio nazionale.
«Dopo aver tenuto a bada SARS-CoV-2 per la maggior parte del 2020, Cuba ha registrato un’ondata di infezioni nel 2021 – continua Burki -. All’8 marzo, il Paese aveva segnalato 55.693 casi di COVID-19 e 348 decessi. Nel solo febbraio si sono verificati 23.093 nuovi casi, quasi il doppio rispetto a tutto il 2020. Cuba sta ancora facendo molto meglio della maggior parte degli altri paesi della regione, ma è urgentemente necessario un vaccino».
Attraverso la Brigata Henry Reeve, Cuba si è impegnata anche in altri Paesi in via di sviluppo, inviando professionisti sanitari in tutto il mondo, come da sempre contro disastri ed epidemie.
«Medici cubani erano sulla scena ad Haiti durante l’epidemia di colera seguita al terremoto del 2010 – spiega Burki – e sono arrivati in Africa occidentale durante la crisi di Ebola del 2013-2016. E quando COVID-19 si diffuse in Europa, due squadre di Henry Reeve sbarcarono in Italia. Entro la fine di aprile 2020, più di 1000 operatori sanitari cubani stavano aiutando i paesi stranieri a rispondere al COVID-19».
Il modello cubano offre spunti interessanti. A partire dall’integrazione di medici e infermieri nelle comunità locali, con controlli annuali di routine che non possono essere disertati facilmente. «Se non vai, il medico verrà a trovarti», spiega il professor Clare Wenham a The Lancet. Questo costituisce una capacità «proattiva» nell’identificare i problemi di salute, permettendo di identificare eventuali focolai in atto.
Ci si basa su un modello denominato CARE che prevede una classificazione dei pazienti in «apparentemente sani, a rischio di malattia, malati, in riabilitazione o in guarigione». In un Paese dove vige un regime in cui i cittadini sono maggiormente controllati rispetto a quel che succederebbe in una democrazia moderna non è impossibile mettere in atto un sistema in cui si hanno informazioni sulla situazione sanitaria della popolazione. Da questo punto di vista vi sono vantaggi notevoli.
«Dopo che SARS-CoV-2 è entrato nell’isola, più di 28.000 studenti di medicina hanno condotto un programma di screening attivo che in poche settimane aveva raggiunto i 9 milioni di cubani – continua Burki – Cuba aveva iniziato a preparare con largo anticipo il suo primo caso di COVID-19. Chiuse rapidamente i suoi confini e istituì centri di isolamento e un efficiente sistema di test-and-trace. Ma subito dopo l’apertura di Cuba alla fine dell’anno scorso, i casi hanno cominciato a salire».
È noto che essere nelle condizioni di poter agire tempestivamente è importante ai fini di ridurre i casi gravi. Un’esigenza divenuta strategica per l’industria biotecnologia cubana, nata in risposta al blocco economico imposto dagli Stati Uniti. Così fin dagli anni ’80 il governo de L’Avana poteva vantare di aver prodotto il primo vaccino contro il meningococco al mondo, a opera dell’ente statale BioCubaFarma.
«Produce otto dei dieci vaccini utilizzati di routine nel paese e invia centinaia di milioni di dosi all’estero – conclude Burki – Ma ottenere materie prime è una lotta costante, soprattutto all’indomani dell’inasprimento delle sanzioni americane durante la presidenza di Donald Trump».
Al di là di come finirà la sperimentazione del suo vaccino, Cuba è un esempio di come l’ingegno e la determinazione possano fare la differenza anche in situazioni di grande crisi pandemica. Ma rappresenta anche una sfida, come la Cina nell’introduzione dei lockdown: è possibile monitorare la popolazione in maniera altrettanto pervasiva, senza violare i principi che regolano le moderne democrazie?
Foto di copertina: EPA/Yander Zamora | Two women walk next to a bikecab decorated with the Cuban flag, in Havana, Cuba, 20 April 2021. Cuban President Miguel Diaz-Canel Bermudez was elected First Secretary at Cuba’s communist party congress on 19 April 2021, succeeding Raul Castro who was stepping down as the leader of the party.
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