Sopravvivere allo stupro, la storia di Luce: «Combatto la cultura che ci vuole bugiarde fino a prova contraria» – L’intervista
Da una parte le urla di un uomo che, per difendere suo figlio Ciro accusato di stupro, sfrutta il suo potere mediatico per farsi sentire. Dall’altra l’esperienza di centinaia e centinaia di ragazze che ogni giorno non trovano la voce per raccontare quanto subito. Non sono tante le vittime di violenza che hanno la forza di parlare di quanto subito o che riescono a rendersi conto dello stupro nei tempi – limitati – concessi dalla giustizia italiana per sporgere denuncia. La legge Codice Rosso ha ampliato la forbice di tempo concessa alle donne di altri 6 mesi, allungando a un anno il periodo utile per andare dalle autorità e sperare di portare a processo lo stupratore. Ma ancora non basta. E la storia di Luce, che ha metabolizzato la violenza solo dopo più di un anno, è un esempio lampante.
Luce ha 23 anni e vive a Bologna, dove studia Lettere all’Università. Da circa due anni ha un canale Instagram dove fa informazione sul consenso sessuale. Dopo quanto le è accaduto a 19 anni si definisce una survivor: «Ero in vacanza a Parigi ed ero rientrata a casa accompagnata da un ragazzo che conoscevo e di cui mi fidavo», racconta. «Mi sembrava più sicuro che andare in giro da sola alle 4 del mattino per una città che non conoscevo bene. Beh, mi sbagliavo». La mattina dopo lo stupro, Luce ha voluto affrontare l’argomento con lui. «Disse che non si era accorto che dormivo e che pensava volessi fare la preziosa», dice.
La sua totale assenza di consapevolezza è, esattamente come quella che ha mosso Beppe Grillo nel suo video, figlia della cultura dello stupro. Quella cultura che minimizza la violenza e tende a non credere alle donne, che in quanto donne esagerano di default. Che spaventa e ti spinge a non esporti anche quando hai tutte le ragioni per farti sentire. «Loro sono innocenti fino a prova contraria, noi bugiarde fino a prova contraria», dice. «E faranno di tutto per cercare appigli nella tua personalità per colpevolizzarti. Ti diranno che eri troppo ubriaca, che non avresti dovuto rimanere fuori casa fino a quell’ora».
Luce non ha dubbi: se a scuola le avessero insegnato che il consenso, quando c’è, non lascia zone grigie o spazi per il fraintendimento, avrebbe avuto gli strumenti per capire che si trattava di uno stupro fin da subito. «Io ho realizzato di aver subito violenza solo mesi dopo, dopo aver letto una storia su Instagram simile alla mia. A scuola non ci viene insegnato che cos’è il consenso, né che ci sono delle situazioni in cui non puoi darlo – come quando sei ubriaca o stai dormendo», racconta. «Sembra una cosa scontata, ma non lo è. Non lo è in questo mondo per una ragazza di 19 anni».
Riprese e foto: Vincenzo Monaco | Montaggio: Vincenzo Monaco e Giada Ferraglioni
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