Dopo il fallimento del primo round, l’Ue usa il «modello Trump» per diventare leader nella produzione di vaccini
Dopo una partenza più lenta rispetto al Regno Unito e la consegna delle prime dosi simboliche del Vax Day di inizio gennaio, la campagna vaccinale europea non è mai decollata, e anche se il peggio è passato viene ancora considerata come un fallimento. AstraZeneca, il fornitore su cui si era puntato maggiormente, non ha rispettato le consegne mettendo la Commissione europea al centro delle polemiche per la pessima gestione di una missione su cui Bruxelles aveva puntato un enorme capitale politico. Molti hanno puntato il dito contro la presidente Ursula von der Leyen, considerandola direttamente colpevole, aprendo una ferita che non è ancora stata sanata.
Mentre gestiva l’emergenza però, Von der Leyen ha pensato a come evitare di trovarsi nuovamente in questa situazione. Un’inchiesta del New York Times ha ricostruito la storia che ha portato l’Ue a fare un accordo con il Pfizer/BioNTech per la fornitura di 1,8 miliardi di vaccini a mRNA prodotti esclusivamente all’interno dell’Unione. Alla base del nuovo contratto c’è la determinazione di von der Leyen di correggere la rotta dopo il disastro con AstraZeneca (finito in tribunale), e rilanciare la sua figura di leader politico e presidente di una Commissione che resterà in carica fino al 2024.
Il rapporto di fiducia tra von der Leyen e Bourla
L’accordo è stato finalizzato venerdì 23 aprile e sarà presentato ufficialmente nei prossimi giorni. Secondo il racconto delle persone coinvolte, il rapporto di fiducia tra von der Leyen e il CEO di Pfizer, Albert Bourla, è stato fondamentale. I due hanno iniziato a scriversi e a parlarsi al telefono già da gennaio, contatti che si sono intensificati man mano che i problemi con AstraZeneca aumentavano. Bourla ha raccontato che lui e von der Leyen hanno sviluppato un profondo e intenso rapporto di fiducia «siamo entrati in discussioni approfondite. Von der Leyen conosceva i dettagli sulle varianti, conosceva i dettagli su tutto. Questo ha reso la discussione molto coinvolgente», ha detto.
A fare la differenza però non sono state solo le conversazioni. Mentre la presidente e l’amministratore delegato ragionavano sui vaccini, e la pandemia imperversava in Europa, gli esperti di Pfizer/BioNTech cercavano di aumentare la produzione nell’Ue. Per esempio, BioNTech preparava le procedure normative per l’approvazione di un impianto in Germania, che intanto produceva e accumulava vaccini in attesa del via libera. Alla fine di marzo, quando l’impianto ha ottenuto l’autorizzazione, aveva già prodotto 11 milioni di dosi pronte per essere consegnate ai Paesi europei.
La Pfizer/BioNTech si è assunta dunque il rischio di aumentare la produzione prima ancora di ricevere nuovi ordini, con l’idea che se dimostri di essere in grado di produrli, qualcuno li comprerà. Ecco perché i contatti tra von der Leyen e Bourla sono stati così importanti, in qualche modo, la presidente della Commissione ha fatto in via informale qualcosa di simile a quello che il presidente degli Stati Uniti (Trump) aveva fatto ufficialmente quando comprava vaccini Pfizer/BioNTech prima di sapere se sarebbero stati efficaci.
La capacità di fornire vaccini offerta da Bourla ha rassicurato von der Leyen e la Commissione, offrendo garanzie reciproche e cementando il rapporto. L’Ue ha quindi ordinato 200 milioni di nuove dosi a febbraio, e attivato l’opzione per altre 100 milioni di dosi ad aprile. Con questo e il nuovo accordo, ora l’Ue è più grande cliente di Pfizer/BioNTech. Con il nuovo contratto l’Ue mette in sicurezza le forniture dei prossimi tre anni con la possibilità di diventare una potenza mondiale della produzione e distribuzione di vaccini.
Il nuovo contratto
L’Ue è già uno dei maggiori produttori ed esportatori mondiali di vaccini. L’accordo con Pfizer/BioNTech però punta a un livello superiore. L’offerta prevede la produzione di 900 milioni di dosi più l’opzione per produrre altre 900 milioni di dosi nel 2022 e nel 2023. Ma oltre a stabilire che le dosi vengano prodotte nell’Unione, il contratto prevede che la produzione europea non si limita al prodotto finito (la singola dose), ma coinvolge anche la maggior parte dei 280 componenti della filiera produttiva necessari a realizzarle, aumentando considerevolmente la “sovranità vaccinale” dell’Europa.
Il contratto inoltre prevede una produzione diversificata in base agli scenari. La valutazione della Commissione visionata dal New York Times ipotizza sia uno scenario positivo in cui non sarà necessario fare richiami perché il Covid-19 è stato sconfitto, sia uno scenario in cui serviranno altri richiami (il più plausibile), infine lo scenario peggiore: quello in cui sarà necessario sviluppare un nuovo vaccino per combattere una mutazione che rende inefficaci i vaccini attuali. La bozza stima anche la produzione di 130 milioni di dosi pediatriche per il 2022 e 65 milioni per il 2023.
Tuttavia, l’accordo non è privo di rischi o critiche. Alcuni esperti temono che l’Ue diventi troppo dipendente da Pfizer/BioNTech, che in uno degli scenari peggiori potrebbe non riuscire a fare quanto promesso. Investire tutto il proprio capitale su una sola possibilità può rivelarsi disastroso. Peter Piot, un microbiologo belga consigliere di von der Leyen, pur sottolineando che finora i vaccini a mRNA hanno funzionato, ha detto che puntare così tanto solo su Pfizer/BioNTech è, almeno dal punto di vista scientifico, un rischio troppo alto.
Von der Leyen risponde a questo genere di osservazioni dicendo che l’Ue è ancora in grado di procurarsi dosi da altre aziende. Bruxelles sta seguendo lo sviluppo di vaccini a base di proteine realizzati da Novavax e Sanofi, così come i vaccini mRNA di Moderna, che sono già in uso nell’Ue, e CureVac, che è in fase di revisione da parte dell’EMA. Un altro problema del vaccino Pfizer/BioNTech è il prezzo, finora il secondo più costoso dopo Moderna.
Gli Stati membri restano liberi di decidere come e quanto utilizzare le loro quote di vaccini. Possono lasciarne alcune per l’assorbimento da parte di altri, possono rivenderle fuori dall’Unione, o possono decidere di donarle a paesi poveri in difficoltà, questo offre molte possibilità ai singoli paesi. Von der Leyen afferma che l’accordo consentirà all’Ue di aiutare le regioni più povere, e questo è probabilmente il dato più rilevante. Se i Paesi europei riusciranno a sconfiggere o tenere sotto controlla la pandemia, non avranno bisogno di tutte le dosi pre-ordinate e potranno usare questo investimento in vaccini come uno strumento per una diplomazia da potenza umanitaria che distribuisce dosi ai paesi poveri.
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