Caos sul pass vaccinale che ancora non c’è, i vaccinati rimbalzati dai medici di base: «Non ci prendiamo questa responsabilità»
La ripartenza del settore turistico, ma anche del mondo dello spettacolo e degli eventi sportivi, è in salita: tanto per viaggiare quanto per entrare in un’arena estiva serve il cosiddetto Green pass. Per ottenerlo, come indicato nel decreto Covid in vigore dal 26 aprile, ci sono tre modi. Il primo è aver completato il ciclo vaccinale, il secondo è sottoporsi a tampone nelle 48 ore che precedono lo spostamento, il terzo è essere guariti dal Coronavirus nei sei mesi precedenti alla richiesta rilascio del pass. Ed è su quest’ultimo punto che la norma rischia di partire monca: i sindacati dei medici di base intimano agli iscritti di non farsi carico del salvacondotto per turisti e spettatori di eventi.
Per i medici di base si tratta di «un ulteriore aggravio burocratico»
Sono due le motivazioni con le quali i sindacati di categoria invitano gli iscritti a non partecipare al rilascio del Green pass. La federazione più rappresentativa in Italia, la Fimmg, invita i medici di famiglia a «soprassedere al rilascio di certificazioni inerenti il Green pass in attesa di maggiori chiarimenti». I sindacalisti si appellano, di fatto, ai dubbi sollevati dal Garante della privacy, secondo cui «è urgente un intervento a tutela dei diritti e della libertà delle persone». Il vicesegretario della Fimmg, Renzo Le Pera, afferma: «Il Garante ha giudicato illegittimo un certificato di questo genere. E, d’altra parte, non vedo perché dovremmo essere noi a prenderci responsabilità che non ci competono».
Le Pera fa un paragone tra certificati vaccinali e di guarigione per spiegare la posizione del sindacato: «Io posso rilasciare un certificato di avvenuta vaccinazione se io somministro il vaccino, ma se lo fa una struttura pubblica è lì che viene rilasciata la documentazione che attesta data, dose e tipo di vaccino. Così, per chi ha avuto il Covid, tocca al Dipartimento di salute pubblica rilasciare al paziente la comunicazione di uscita dall’isolamento dopo la guarigione. Trovo folle chiedere a noi medici di famiglia di rilasciare certificazioni che non esistono». Ma i medici di base hanno un altro motivo per essere restii al compito affidato loro dal governo. Lo chiarisce senza giri di parole il presidente dell’altro sindacato di settore, lo Snami: «Il tutto comporterà una serie di richieste nei nostri confronti, con ulteriore aggravio burocratico, seppur in regime libero professionale», afferma Angelo Testa.
L’assenza di una piattaforma nazionale per i certificati
Quindi, nonostante la prestazione dei medici di famiglia per il rilascio del certificato di guarigione preveda un extra retributivo perché eseguita fuori dall’orario di lavoro, le barricate della categoria rischiano di azzoppare una delle tre gambe del Green pass. Che, nonostante sia entrato in vigore per decreto ormai dal 26 aprile, di fatto non esiste: non c’è ancora alcun passaporto digitale digitale da scaricare, un documento online o cartaceo ad hoc per chi è guarito, è stato vaccinato o si è sottoposto a tampone. Per il momento, bisogna presentarsi ai controlli con la classica autocertificazione con allegati i certificati che attestino la non contagiosità.
I medici di base, poi, scaricano sulle Regioni il lavoro di rilascio del certificato di guarigione, ma la autorità sanitarie locali sono già in difficoltà per l’emissione del certificato vaccinale. Pochissime, in Italia, le Regioni che hanno caricato online i documenti di avvenuto ciclo vaccinale, scaricabili dai cittadini. La più virtuosa, al momento, è il Lazio: 500 mila certificati caricati e 250 mila download da parte delle persone vaccinate. Anche la Campania ha implementato un link per permettere di scaricare il documento. Nelle altre Regioni, invece, bisogna fare affidamento sul foglio rilasciato dalla struttura in cui è stata somministrata la dose.
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