Nudes, la serie teen sul revenge porn arriva su Raiplay. «Quando la diseducazione sentimentale incontra l’impulsività social» – L’intervista
Revenge porn. O meglio, diffusione illecita di foto o video sessualmente espliciti. In Italia è reato dal 2019, ma l’intricato meccanismo psicologico che gli fa da sfondo è ancora un labirinto difficile da sciogliere. Soprattutto se si parla di adolescenti in balìa della loro sessualità e dello sterminato mondo della condivisione. Per questo il produttore Riccardo Russo e la regista Laura Luchetti hanno deciso di realizzare l’adattamento italiano del teen drama norvegese Nudes: per esplorare come la dimensione impulsiva dei social si mischi a una scarsa educazione sentimentale e sessuale tra i giovani. Dieci episodi – disponibili su Ray Play – per 3 storie, condotte dagli attori e alle attrici che interpretano i 3 protagonisti della serie: Nicolas Maupas (Vittorio), Fotinì Peluso (Sofia) e Anna Agio (Ada).
L’impatto dell’abuso su chi subisce revenge porn è devastante: secondo uno studio di Samantha Bates, ci sono somiglianze col disturbo post-traumatico da stress dello stupro. Arrivano l’ansia, la depressione, la perdita del controllo, il freezing e, a volte, il suicidio. Ma quali sono le ragioni che spingono un ragazzo (o una ragazza) a diffondere sui social materiale di questo tipo? Per Luchetti, che si è immersa nel progetto, è difficile da dire: «Quello che ho imparato nella mia esperienza da regista e in quella di madre è che non esiste mai una risposta semplice, soprattutto quando si parla di adolescenti», racconta a Open. «E l’importante è guardarli senza giudicarli, tenendo a mente che, come noi, non sono mai né troppo buoni né troppo cattivi».
Luchetti, perché avete deciso di riadattare in italiano una serie che parla di questi temi tra adolescenti?
«Io ho lavorato quasi sempre con adolescenti, perché credo sia un mondo estremamente interessante. In questo caso mi è piaciuto il modo in cui un tema così importante è stato affrontato, in maniera semplice e diretta. Si parla moltissimo di revenge porn quando ci sono dei suicidi che finiscono in prima pagina, ma di fatto è una problematica silente e molto pericolosa tra i più giovani. Che si rivela anche attraverso manifestazioni non eclatanti come quelle che siamo abituate a leggere, ma che contribuiscono a gonfiare il problema. Mi piaceva poi l’idea di lavorare sull’importanza del gruppo e degli amici quando si ha quell’età e si affrontano problemi che sembrano oltre il proprio controllo».
Ha avuto modo di confrontarsi con le giovani attrici e i giovani attori sul tema del revenge porn?
«I ragazzi con i quali ho lavorato erano al 90% alla primissima esperienza e abbiamo improvvisato molto. Durante il lavoro abbiamo parlato del tema e ne è uscito che è molto presente: ognuno di loro conosceva almeno una persona a cui era successa una cosa simile. C’era chi aveva un’amica che ne era stata vittima, chi conosceva qualcuno che erano state coinvolte in situazioni di questo tipo. E la stessa cosa è successa quando ho parlato con mia figlia e le sue amiche. Bisogna parlarne perché quello che poi diventa lo scandalo è solo la punta dell’iceberg di un labirinto di rapporti».
I giovani stanno diventando più consapevoli o sono ancora le vittime perfette dell’online?
«Io spero che continuando a parlare del problema le cose possano andare meglio. Che stiano sempre più in allerta, che capiscono che anche la più piccola violazione della libertà altrui è un problema. Che anche comportamenti come il cat calling alimentano questa cultura del controllo che sorpassa il consenso. Sono vari step dello stesso problema: si parla sempre di appropriazione indebita dello spazio della vita altrui. Spero che trasformare tutto questo in un film possa aiutare a creare consapevolezza».
Quali emozioni hai trovato dietro questi comportamenti? Ci sono dei fattori comuni?
«Molto spesso i registi passano per esperti di sociologia, ma io penso una cosa molto semplice: c’è una diseducazione sentimentale. Non insegniamo ai nostri figli a elaborare sentimenti basilari come l’invidia, la gelosia, il dolore di un amore non corrisposto, la rabbia. In un’età come l’adolescenza sono bombe esplosive e se non gli diamo strumenti per digerirli e somatizzarli, loro li traducono in atti social impulsivi. Sono arrabbiato con te? Ti faccio una foto e la pubblico. Non mi corrispondi? Ti seguo e ti faccio un video. Stiamo sbagliando a non insegnare a gestire certe emozioni, e li lasciamo in balìa della vendetta immediata».
In che modo hai voluto trasmettere questo messaggio nella serie?
«Il linguaggio registico usato è stato quello di stare il più vicino possibile con la macchina da presa ai ragazzi, per accompagnarli in queste esperienze senza giudicarli. Osservare le loro debolezze e le loro forze attraverso i primi piani, le gocce di sudore, gli sguardi. Ho cercato di stargli sulla pelle e di parlare a loro con loro. Se è riuscito non lo so, ma spero di sì».
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Immagine di copertina: Ufficio Stampa | Dalla serie tv Nudes