Con il Covid persi oltre 900 mila posti di lavoro. Il think tank della gen Z: «Servono politiche per le giovani donne»
Un numero, +34 mila occupati a marzo 2021, che può sembrare un palliativo per gli effetti disastrosi che il Coronavirus ha avuto sul mercato del lavoro: da quando è scoppiata la pandemia a oggi, sono andati persi quasi 900 mila posti. In realtà, osservando i dati dell’ultimo report Istat disaggregati, emerge come le categorie che già partivano da una situazione occupazionale di svantaggio – donne e giovani – facciano sempre più fatica a trovare un impiego.
«Non è sorprendente: il dato segue un trend che c’è sempre stato. Con il primo lockdown si è semplicemente esacerbato un problema annoso che andrebbe tamponato il prima possibile». A parlare è Francesca Squillante, presidentessa di Orizzonti Politici, il «think tank della generazione Z» che si occupa di economia e politica fondato da studenti dell’Università Bocconi. Con lei c’è anche Giacomo Casali, vicepresidente dell’associazione: «Un altro elemento da considerare è che la pandemia ha colpito con più forza quei settori ad alta occupazione giovanile, penso al turismo e alla ristorazione: ciò acuisce l’impatto sui ragazzi».
Il tasso di disoccupazione tra i giovani è salito al 33,0%, con un incremento, nel mese di marzo, dell’1,1%. «Le prospettive non sono delle migliori visto che il Covid ha impoverito la didattica. Il training loss, poi, ha minato l’inserimento nel mondo lavorativo che prima stava dando un segnali di speranza per i giovani», aggiunge Casali. «Occorre mettere in atto politiche a lungo termine, evitando una semplice allocazione di risorse per i giovani. Ci deve essere uno sforzo integrato, trasversale in ogni campo. Il Pnrr approvato dal parlamento, in ciascuna delle sei missioni, prevede interventi con un effetto positivo sui giovani. Sì, il piano mi sembra utile per costruire un Italia a misura di generazione Z».
La situazione non migliora considerando la categoria “donne” di ogni età: il tasso di disoccupazione femminile è salito all’11,4% a marzo, +0,2% sul mese precedente. «La questione della disoccupazione femminile esiste da sempre, con la pandemia è andata peggiorando. Vanno fatte misure comprensive, non politiche di compartimenti stagni: investire per l’entrata nel mondo del lavoro, ad esempio, non può prescindere da un intervento sull’educazione. È vero che i laureati in Italia sono più donne che uomini, ma è anche vero che c’è una sproporzione tra donne laureate in materie umanistiche, tantissime, e laureate nelle cosiddette materie Stem: Science, Technology, Engineering and Mathematics. Sono questi i percorsi che danno accesso a lavori pagati meglio».
Squillante, poi, individua come terzo intervento «una riforma del panorama culturale. La donna, quasi sempre, è costretta a fare un trade off tra lavoro e famiglia. Bisognerebbe insistere affinché il lavoro sia visto come una scelta e non un’alternativa alla famiglia». Carriera e affetti, insomma, devono coesistere: «I Paesi nordici dimostrano che ciò è possibile e anzi, osserviamo che dove c’è questa coabitazione di interessi, il tasso di natalità è maggiore». Il think tank sta studiando anche l’eterogeneità degli effetti che la pandemia ha avuto a differenti latitudini dell’Italia.
«Il tessuto economico del Nord è diverso da quello del Centro-Sud. Nello specifico – afferma Casali – al Nord troviamo aziende che hanno più contatti con l’estero e, per questa ragione, hanno risentito maggiormente dei colli di bottiglia del sistema produttivo internazionale. Al Centro-Sud, invece, le imprese sono meno interconnesse con altri Paesi e sono state più colpite dalle misure restrittive italiane. A Nord – conclude – prevediamo che nel giro di un anno le aziende potranno riprendere le normali operazioni, mentre al Sud l’impatto delle restrizioni nazionali ha colpito i core-business incentrati a livello territoriale: la ripresa sarà più lenta».
Tornando alle due categorie più penalizzate nel mercato del lavoro, Squillante ci tiene a evidenziare che, spesso, si parla erroneamente di giovani e donne come due categorie svantaggiate ma separate. «Il Coronavirus ha risvegliato le intersezioni che ci sono tra giovani e donne quando analizziamo il mercato del lavoro. Durante questo anno di pandemia abbiamo conosciuto sempre più giovani cosiddetti Neet, Neither in Employment or in Education or Training. La maggior parte dei Neet, oggi, è composta da donne, da quelle donne che hanno un tasso di istruzione più elevato ma risultano anche più inattive. Servono delle politiche ad hoc per le giovani donne».
Leggi anche:
- Draghi replica alla Camera sul Recovery plan: «Più fondi per borse di studio e alloggi studenteschi: ai giovani dobbiamo garantire welfare, casa e occupazione sicura» – Il video
- La crisi da Covid fa crollare i salari: in Italia persi 39,2 miliardi di euro. È il dato peggiore dell’Unione europea
- L’economista Pignatti (Ilo): «Ecco la mia ricetta contro la disoccupazione giovanile in tre punti» – Il video
- Danni collaterali – La pandemia del lavoro colpisce duro manager e startup: «Le più in crisi sono quelle nate nel 2019»
- Recovery Fund, «Ai giovani il 10% dei fondi europei»: la protesta social per chiedere più investimenti sugli under 35