La saga della Brexit è giunta al termine, ma le relazioni tra Unione europea e Regno Unito ancora non hanno trovato un nuovo equilibrio
La plenaria del Parlamento europeo ha ratificato l’accordo commerciale e di cooperazione (Trade and Cooperation Agreement) che regola i rapporti tra Unione europea e Regno Unito dopo la Brexit, segnando così l’ultimo passo del divorzio tra le due sponde della Manica. I negoziati iniziati quattro anni fa dopo il referendum sono stati costantemente segnati da sfiducia, diffidenze e ostilità che non saranno superate facilmente. Intanto, nonostante l’accordo commerciale a gennaio e febbraio le esportazioni britanniche verso l’Ue sono diminuite del 47% e le importazioni del 20%, molto più del calo di qualsiasi altro partner commerciale dell’Unione.
La negatività si è sentita anche nelle dichiarazioni in plenaria. «Questo divorzio è un avvertimento. Brexit è un fallimento da cui dobbiamo imparare», ha detto Michel Barnier, il capo negoziatore dell’Ue accolto da una standing ovation per il suo lavoro – effettivamente ottimo – che si è rivelato così efficiente grazie a un caso più unico che raro di unità d’intenti europea (evidentemente dovuta alla determinazione di fronteggiare il “nemico” comune britannico, il che è tutto dire).
La ratifica in plenaria arriva in ritardo rispetto alla scadenza prefissata, che non prevedeva di andare oltre marzo. Manfred Weber, presidente del Partito popolare europeo, ha detto che i suoi colleghi avrebbero approvato l’accordo secondo i tempi stabiliti, ma erano preoccupati per la sua attuazione perché non si fidavano del premier britannico Boris Johnson.
Gli europarlamentari hanno votato anche una risoluzione che definisce la Brexit un “errore storico”. Il testo afferma che la plenaria si rammarica della portata limitata dell’accordo, che manca di cooperazione in materia di politica estera e scambi di studenti. C’erano inoltre dubbi a causa delle proteste per le modifiche britanniche agli accordi commerciali con l’Irlanda del Nord, una mossa che ha spinto Bruxelles ad avviare un’azione legale. La ferita rimane aperta, dentro e fuori l’isola.
Il monito di von der Leyen
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha detto che l’accordo commerciale fornisce strumenti, come la chiusura dell’accesso al mercato, per garantirne la conformità. «Questo accordo ci fornisce dei ‘veri denti’. Sia chiaro, non vogliamo dover utilizzare questi strumenti, ma non esiteremo a farlo se necessario», ha ammonito nel suo intervento. Sono toni da falco, un «patti chiari amicizia lunga» che promette nuovi conflitti.
Le occasioni per andare allo scontro non mancheranno: la governance dell’accordo, i controlli alle frontiere, lo status dei diplomatici dell’Ue a Londra, il territorio di Gibilterra, la regolamentazione dei servizi finanziari, e poi ancora la questione irlandese, le mire secessioniste e filoeuropee della Scozia che trovano appoggio tra gli europeisti di Bruxelles.
La ferita della Brexit non è stata sanata
Londra e Bruxelles hanno condotto i negoziati con spirito ostile, trattandosi come dei rivali sistemici piuttosto che da futuri partner. Un errore delle parti comprensibile, entro certi limiti: per l’Ue era importante che la Brexit non apparisse come un successo, funzionale ai partiti sovranisti che vogliono proporre referendum simili; per il Regno Unito era necessario dimostrare di non subire la separazione e affermare i propri interessi. Ma anche adesso che la Brexit è un fatto compiuto, non viene accettata.
Da una parte ci sono troppi europeisti convinti che per sancire il successo dell’Ue, la Brexit debba essere l’inizio della fine del Regno Unito, bollando ogni tormento britannico come un tormento post-Brexit e ogni risultato come limitato e casuale. Allo stesso modo, tanti inglesi sentono il bisogno di legittimare le virtù della Brexit sottolineando i fallimenti dell’Ue. I giornali britannici evidenziano continuamente gli errori della campagna vaccinale europea, mentre le testate più nazionaliste prospettano l’imminente collasso dell’Ue.
Quello sulla Brexit è un dibattito dove nessuno ha la meglio e nessuno cambia idea, ma la realtà dei fatti resta invariata: l’Ue non si scioglierà e la Brexit non verrà ripudiata, né vissuta come un fallimento. Come si è visto nelle tre elezioni consecutive dopo il referendum del 2016 nel Regno Unito non c’è spazio per riaprire un dibattito.
Ci vorrà tempo per ricucire quella che è stata una separazione ostile, tempo e altri attori politici, che costruiranno un nuovo rapporto basato su una visione condivisa. Si sta parlando di dieci anni, forse di più. Nel frattempo i rapporti saranno segnati da diffidenza e una collaborazione quasi forzata. Solo gli Stati Uniti potranno offrire la bussola della nuova geografia delle relazioni transatlantiche.
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