L’Ema avvia l’esame del vaccino cinese Sinovac. Il caso Cile e tutti i dubbi sull’efficacia del farmaco
Il vaccino cinese contro il nuovo Coronavirus CoronaVac della casa farmaceutica Sinovac è entrato nel processo di rollin review dell’EMA, pensato per ridurre al minimo i passaggi burocratici necessari a verificare la sicurezza ed efficacia di un farmaco. La prima richiesta sarebbe partita dall’azienda Life’On srl di Pomezia. L’Ema valuterà i dati quando saranno disponibili per decidere se i benefici superano i rischi. L’analisi continuerà fino a quando non saranno disponibili prove sufficienti per una domanda formale di autorizzazione all’immissione in commercio.
Si tratta di un vaccino a virus inattivato. SARS-CoV-2 viene reso incapace di infettare pur mantenendo i suoi antigeni. Si tratta delle proteine che il virus utilizza per infettare le cellule, a loro volta bersaglio del sistema immunitario, che così impara a riconoscere il patogeno. Quanto è probabile che l’EMA riesca a ottenere informazioni sufficienti a generare una domanda formale di autorizzazione all’immissione in commercio?
Perché Sinovac non è stato ancora approvato
Rispetto ai vaccini di ultima generazione che utilizzano frammenti di codice genetico, Sinovac ha un approccio più tradizionale, che gli permette di essere conservato nei frigoriferi a temperature che si aggirano tra i due e gli otto gradi Celsius. Questo renderebbe il farmaco più accessibile nei Paesi in via di sviluppo.
Come spiegavamo in un precedente articolo, al momento è noto solo uno studio di fase 1/2, apparso su The Lancet nel novembre scorso, che non dice molto. In generale sappiamo che la tecnologia dei vaccini a virus inattivati è da sempre considerata debole. Il paper riguarda 144 volontari testati nella prima fase e 600 nella seconda. Sono state fatte sperimentazioni della fase tre (la più avanzata prima della distribuzione) in diversi Paesi, con stime di efficacia che si aggirano tra il 65 e il 91%. Lo stesso governo di Pechino ne ha approvato l’uso prettamente emergenziale nel luglio scorso. Come se non bastasse, qualche giorno fa il direttore del Centro nazionale per il Controllo delle Malattie, Gao Fu, ha ammesso che il vaccino ha risultati mediocri contro i sintomi legati alla Covid-19.
Nuove verifiche, di cui abbiamo avuto informazioni a settembre, si basano su oltre mille volontari. I dati sono ancora preliminari. Al momento si parla di un vaccino «probabilmente efficace». Ora il Comitato per i medicinali umani (CHMP) è chiamato a esaminare nuovi dati preliminari, emersi da ulteriori studi, con dati clinici e non clinici.
«L’Ema valuterà la conformità del vaccino Covid-19 (Vero Cell) inattivato con i consueti standard dell’UE per l’efficacia, la sicurezza e la qualità. Sebbene l’Ema – si legge nella nota – non sia in grado di prevedere i tempi complessivi, dovrebbe richiedere meno tempo del normale per valutare un’eventuale domanda a causa del lavoro svolto durante la revisione progressiva».
Il caso cileno
I dubbi non sono pochi, se pensiamo alla crisi di ospedalizzazioni avvenuta recentemente in Cile, dove metà della popolazione adulta (oltre sette milioni di persone) è stata inoculata con una prima dose di vaccino. Buona parte delle dosi erano di CoronaVac. Eppure le terapie intensive sono nuovamente piene. Il Cile ha chiuso di nuovo i confini e i suoi 18 milioni di abitanti sono tornati in isolamento.
Il Governo cileno aveva stretto accordi con la casa farmaceutica cinese Sinovac Biotech, distribuendo con celerità il suo vaccino. Stando a una recente agenzia di stampa del governo cinese XinhuaNet, proprio da un recente studio condotto in Cile, che tiene conto di oltre dieci milioni di vaccinati, si evincerebbe che il vaccino distribuito in Cile previene la morte nell’80% dei casi, mentre proteggerebbe dai sintomi della Covid-19 per un 67%. Queste affermazioni si intendono verosimilmente a partire dalla seconda dose. Per quanto riguarda invece la prevenzione dall’infezione, i ricercatori «suggeriscono» una stima del 56,5% per la seconda dose, che scende drasticamente al 3% con la prima.
Il Cile potrebbe averci dato segno del fatto, che puntare sulla massima diffusione delle sole prime dosi di vaccino – col rischio di lasciare buona parte della popolazione senza il richiamo – non sarebbe una buona idea.
Secondo l’infettivologa Claudia Cortés della Clinica Santa Maria di Santiago, «con una dose, sappiamo che la protezione è molto debole». Ed effettivamente dal Cile giungono testimonianze di pazienti ricoverati con Covid-19 poco dopo aver ricevuto il vaccino. L’immunologa Susan Bueno della Pontifical Catholic University, che ha diretto lo studio cileno sul CoronaVac, sostiene che se una dose non dà l’effetto sperato, con la seconda si hanno evidenze di piena efficacia. Circa il 50% di chi è stato infettato non ha manifestato sintomi gravi. Nessuno è finito in terapia intensiva.
Foto di copertina: ANSA/DIEGO AZUBEL | A woman receives the second dose of the Sinovac COVID-19 vaccine at a school in Bangkok, Thailand, 28 April 2021.
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