Verbali segreti, magistrati indagati, il ruolo del Csm: cosa sappiamo sulla presunta loggia segreta Ungheria
L’inchiesta sulla presunta loggia massonica segreta Ungheria, di cui oggi scrivono tutti i giornali, nasce dagli interrogatori dell’avvocato siciliano Piero Amara, sentito dai pm di Milano tra dicembre 2019 e gennaio 2020. Amara è un personaggio molto noto alle cronache giudiziarie: è stato infatti arrestato a febbraio 2018 con l’accusa di aver creato un’organizzazione, composta da professionisti e magistrati, finalizzata ad “aggiustare” i processi e pilotare le sentenze al Consiglio di Stato. Ad aiutarlo nell’impresa il collega Giuseppe Calafiore e l’allora pm della procura di Siracusa, Giancarlo Longo. Per questa vicenda, ribattezzata dai media “Sistema Siracusa”, Amara è stato condannato definitivamente a 3 anni e 8 mesi di reclusione.
Amara è stato anche uno dei più importanti legali esterni di Eni e gli interrogatori durante i quali ha parlato della presunta loggia coperta si collocano nel contesto di un’altra indagine, quella sul cosiddetto “falso complotto Eni”. Il protagonista è sempre Amara, indagato perché attraverso una serie di false denunce avrebbe, secondo l’ipotesi accusatoria, messo in piedi un tentativo di depistare i pm di Milano che stavano indagando i vertici del colosso petrolifero di Stato per corruzione internazionale in relazione al caso Eni-Shell/Nigeria, processo che si è chiuso in primo grado a marzo 2021 con l’assoluzione dell’amministratore delegato Claudio Descalzi e del suo predecessore Paolo Scaroni. Sulla vicenda del falso complotto, a partire dalla fine del 2019, Amara è stato interrogato a più riprese dai pm milanesi Paolo Storari e Laura Pedio. Prima, però, sono successe altre due cose, che è necessario citare per ricostruire lo sfondo delle sue “esplosive” dichiarazioni.
A maggio del 2019 viene interrogato, sempre da Storari, il manager dell’Eni Salvatore Carollo, che racconta di aver saputo da Amara che esisteva un «blocco di potere con i servizi segreti» di cui l’avvocato siciliano avrebbe fatto parte. Poi, durante l’estate di quell’anno, scoppia lo scandalo che ha scosso le fondamenta del potere giudiziario italiano, ovvero il caso Luca Palamara. Secondo i pm, quando era membro del Csm, Palamara avrebbe infatti incassato 40 mila euro dagli avvocati Amara (sempre lui) e Calafiore, per favorire la nomina del pm Longo a procuratore di Gela. Amara inizia quasi subito a collaborare con la procura di Perugia, titolare dell’inchiesta contro Palamara che ha finito per terremotare il Csm, scoperchiando le trattative sulle nomine ai vertici delle procure. Poi, a dicembre 2019, viene sentito a Milano e inizia a parlare della loggia coperta.
Qui veniamo alla più stretta attualità, perché da un lato c’è chi sostiene che l’inchiesta sulla presunta loggia sia stata insabbiata, dall’altro chi afferma che la procura di Milano abbia semplicemente voluto procedere con una certa prudenza, iscrivendo i primi nomi nel registro degli indagati quasi sei mesi dopo le rivelazioni di Amara. Una divergenza che ha alimentato lo scontro – tuttora in corso – tra il pm Storari e l’ex componente del Csm Piercamillo Davigo da una parte, e il procuratore capo di Milano Francesco Greco con gli aggiunti Pedio e Fabio De Pasquale dall’altra. Ma partiamo dai fatti. Cosa ha detto Amara sulla presunta loggia segreta? Secondo il quotidiano Domani, l’avvocato avrebbe raccontato di farne parte da oltre 15 anni. Avrebbe conosciuto i primi “fratelli” frequentando l’Osservatorio permanente sulla criminalità organizzata, organismo siciliano di cui fu presidente Giovanni Tinebra, «ex potente procuratore a Caltanissetta che puntò, tra i primi, sul falso pentito di mafia Vincenzo Scarantino, che con le sue false dichiarazioni depistò le indagini sull’attentato a Paolo Borsellino».
Amara ha detto che a farlo entrare nella presunta loggia “Ungheria”, di cui farebbe parte anche il collega Calafiore, sarebbe stato proprio Tinebra, ma il magistrato non può né confermare, né smentire, perché è morto nel 2017. Nella loggia ci sarebbero, in ogni caso, molti membri di Magistratura Indipendente, una delle correnti più duramente colpite dallo scandalo Palamara. La mission ufficiale della loggia sarebbe stata quella di difendere lo stato di diritto e contrastare il giustizialismo delle correnti più “di sinistra”. Nella pratica, però, sempre secondo Amara, il gruppo occulto si sarebbe dedicato fondamentalmente a pilotare le nomine del Csm e delle principali procure d’Italia (Milano e Roma comprese), promuovendo inoltre affari e scambi di favori tra “fratelli”.
Amara sostiene di essere in possesso di una lista di 40 nomi di aderenti alla loggia. Tale lista, custodita all’estero e non ancora consegnata, comprenderebbe giudici, vertici delle istituzioni e capi delle forze dell’ordine. Ma il ventaglio degli affiliati sarebbe ben più ampio e includerebbe anche membri del Csm e del Consiglio di Stato, procuratori, avvocati degli studi legali più noti del Paese e imprenditori. Secondo il quotidiano La Verità, Amara avrebbe elencato tra i membri l’ex ministra della Giustizia Paola Severino, l’ex numero uno di Confindustria Emma Marcegaglia e l’ex presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro. Tutti e tre smentiscono categoricamente.
L’avvocato avrebbe quindi fatto i nomi di alcuni magistrati che si sarebbero rivolti a lui per ottenere promozioni e avrebbe coinvolto anche l’ex premier Giuseppe Conte, al quale avrebbe fatto ottenere tra il 2012 e il 2013 consulenze dal gruppo Acqua Marcia Spa per circa 400 mila euro. Domani ha pubblicato nei giorni scorsi il verbale con le accuse all’ex presidente del Consiglio e oggi sottolinea come Amara «sembra mischiare elementi autentici, altri inverosimili e molti difficilmente riscontrabili». In sintesi, secondo fonti vicine al dossier, o lui e Calafiore «sono depistatori professionisti e allora devono essere accusati di calunnia aggravata, o il Paese è davvero in mano a logge che ricordano da vicino la P2».
Fin qui le dichiarazioni dell’avvocato siciliano, che risalgono come detto al periodo compreso tra dicembre 2019 e gennaio 2020. Passiamo ora allo scontro in seno alla procura di Milano. Data la gravità delle parole di Amara, al termine degli interrogatori il pm Storari avrebbe chiesto al procuratore capo di Milano, Francesco Greco, di poter procedere subito con l’iscrizione di alcuni presunti “fratelli” nel registro degli indagati, per disporre gli opportuni accertamenti. A testimoniarlo ci sarebbero almeno una decina di mail inviate a Greco, per spiegare che bisognava chiarire la veridicità o meno di quelle affermazioni e, qualora fossero state false, procedere per calunnia nei confronti di Amara. Poiché però, a detta di Storari, quelle mail sono rimaste senza risposta, a marzo 2020 lo stesso pm – per tutelare la propria posizione – ha deciso di consegnare i verbali secretati degli interrogatori al consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Il quale, successivamente, avrebbe informato della cosa i vertici del Csm, quindi il vice presidente David Ermini e il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi.
Storari ne ha parlato con Greco solo qualche settimana fa, dopo che l’ex segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, è stata accusata di calunnia dai pm di Roma per aver recapitato quegli stessi verbali ad alcuni quotidiani (la Repubblica e il Fatto Quotidiano), accompagnati da una lettera in cui si tacciava di inerzia il capo della procura di Milano. Nella serata di ieri, fonti del Csm hanno in ogni caso precisato che l’organo di autogoverno della magistratura «opera soltanto sulla base di atti formali e secondo procedure codificate», quindi che non avrebbe potuto intervenire in alcun modo «a fronte di atti non identificabili come la sommaria comunicazione verbale da parte dell’allora consigliere Davigo in merito a indagini della procura di Milano».
Greco, da parte sua, sta lavorando a una relazione per ricostruire tutti i passaggi nella gestione dell’inchiesta. Per ora si sa che Amara e Calafiore sono stati iscritti nel registro degli indagati per associazione segreta il 9 maggio 2020. Ma qualcuno sospetta che le iscrizioni siano state contemporanee al periodo in cui il procuratore generale della Cassazione, avvisato da Davigo, avrebbe a sua volta parlato con il capo della procura di Milano. A dicembre 2020 gli atti sono stati inviati per competenza alla procura di Perugia. E ora la procura di Brescia, che indaga sui magistrati di Milano, potrebbe aprire un fascicolo conoscitivo sullo scontro andato in scena tra le toghe del capoluogo lombardo.