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Loggia Ungheria, dal presunto «incarico a Conte» ai «rapporti» con Lotti: ecco le carte dell’interrogatorio di Amara

07 Maggio 2021 - 19:00 Fabio Giuffrida
Il 6 dicembre 2019 l'avvocato parlava dei suoi legami con diversi esponenti politici influenti e del pagamento di presunte somme denaro ad alcuni studi legali, per imprecisate consulenze, compreso quello in cui lavorava l'ex premier

Gli interrogatori dell’avvocato siciliano Piero Amara, negli uffici della Procura di Milano, hanno scoperchiato un sistema che ha portato all’inchiesta sulla presunta loggia massonica segreta Ungheria. In particolare in quello del 6 dicembre 2019 emergono particolari inquietanti e nomi eccellenti. All’associazione Ungheria, stando alle parole di Amara, aderirebbero «magistrati ma anche forze dell’ordine, alti dirigenti dello stato e alcuni imprenditori». Circa« 40 persone» che avevano persino un modo di salutare tutto loro, un modo chiaramente per farsi riconoscere, un simbolo dell’appartenenza alla presunta loggia: «Mi salutò premendomi il dito indice tre volte sul polso mentre mi stringeva la mano», racconta Amara riferendosi ad uno degli associati. Ma quello che più preoccupa sono i presunti rapporti con esponenti politici in grado di influenzare il Csm e, dunque, la vita (e il futuro) dei magistrati.

I presunti rapporti con Luca Lotti

Amara, nel corso dell’interrogatorio, ha parlato più volte dei suoi presunti rapporti con l’ex ministro Luca Lotti («avevo un certo potere nei suoi confronti») al punto da organizzare un incontro tra lo stesso Lotti e Carlo Capristo, procuratore di Trani che aveva presentato domanda a Perugia, Firenze e Taranto. Secondo Capristo – che Amara aveva conosciuto tramite l’amico Filippo Paradiso – all’interno del Csm ci sarebbe stato «un veto nei suoi confronti riconducibile proprio a Luca Lotti». Veto che andava rimosso, il prima possibile. Nell’incontro a tre, Lotti avrebbe detto a Capristo: «Lei frequenta delle persone che di giorno si sparano mentre di sera ci chiedono favori». Il riferimento era al ministro Boccia, che era «amico di Capristo». L’alleanza con Lotti era fondamentale perché significava avere la maggioranza al Csm in quanto Lotti aveva rapporti sia con Ferri che con Palamara che con la componente laica del Pd». «Con Palamara aveva rapporti personali, a Ferri fu promesso un posto da parlamentare nel Pd, cosa che poi effettivamente gli è stata data», si legge.

Le promesse ai magistrati

Persino Lucia Lotti, all’epoca sostituto procuratore a Roma, si sarebbe rivolta, tramite l’avvocato Mangione, ad Amara per ricoprire l’incarico di procuratore di Gela. La Lotti «sapeva che al Csm non aveva l’appoggio del consigliere dell’Udc, Ugo Bergamo». Il ruolo di Amara sarebbe stato quello di arrivare a Ugo Bergamo. Come? Conosceva Saverio Romano, esponente dell’Udc che avrebbe potuto metterlo in contatto con Bergamo. Romano diede la sua disponibilità e, intanto, Amara chiese qualcosa in cambio alla Lotti: qualora fosse diventata procuratrice a Gela, una sede «molto importante per gli interessi dell’Eni», tutti i procedimenti in materia ambientale sarebbero stati gestiti «attraverso incidenti probatori e non a mezzo di consulenze tecniche di parte». La Lotti – prosegue Amara nel racconto – «mantenne l’impegno, tant’è vero che nei processi più importanti che ho seguito io questo è stato il modo di procedere. Ricordo che solo in un paio di occasioni vennero fatti sequestri».

Ma è nella parte relativa a Maurizio Musco, magistrato di Siracusa e amico di Amara, che saltano fuori nomi eccellenti. Nel 2012 Musco si è occupato di un’indagine riguardante una società denominata Oikothen «riconducibile alla famiglia Marcegaglia». Su questo magistrato – sottolinea Amara – è subito partito «un attacco mediatico nel quale vennero sottolineati i rapporti di amicizia con me». Venne disposta un’ispezione ministeriale ma non venne trovato nulla. Nonostante ciò, il ministro della Giustizia chiese «comunque il trasferimento d’urgenza di Musco». Amara, a quel punto, per aiutare l’amico Musco, si rivolse a Michele Vietti, che «all’epoca presiedeva la sezione disciplinare del Csm». Vietti gli disse che non era possibile evitare il trasferimento ma che successivamente «avrebbe sistemato la cosa».

E, infatti, due anni dopo Musco «presentò un’istanza di revoca del trasferimento cautelare dinanzi al Csm». Io «tornai da Vietti e gli chiesi di seguire questa vicenda». La risposta di Vietti fu che formalmente non poteva più seguirla – poiché incompatibile – ma che al suo posto ci sarebbe stato Annibale Marini, che gli fece conoscere. Ed è in questa occasione che «Michele Vietti mi chiese di corrispondere una somma di denaro a tale avvocato Alberto Goffi del suo studio. Gli conferii un incarico di poco conto e lui fatturò 50mila euro».

«400 mila euro all’ex premier Conte»

E non era la prima volta, secondo Amara che, durante l’interrogatorio, ha aggiunto: «Premetto che in altri casi Vietti, in funzione di sue esigenze a me non note, mi chiese di far guadagnare denaro ad avvocati o professionisti a lui vicini». E «in quel periodo avvenne anche con l’avvocato Giuseppe Conte (l’ex presidente del Consiglio, ndr) a cui facemmo conferire un incarico dalla società Acquamarcia s.pa. di Roma». Un incarico che sarebbe stato «conferito a lui e al professor Alpa, grazie al mio intervento su Fabrizio Centofanti, che all’epoca era responsabile delle relazioni istituzionali di Acquamarcia». L’importo corrisposto sarebbe stato di «400mila euro per Conte e 1 milione di euro per Alpa». Cifre di cui Amara sarebbe venuto a conoscenza grazie a uno sfogo di Centofanti: «Questo l’ho saputo da Centofanti che si arrabbiò molto perché il lavoro era sostanzialmente inutile, trattandosi della rivisitazione del contezioso della società, attività che fu svolta da due ragazze in poche ore» a fronte di un importo corrisposto «particolarmente elevato».

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