Scampato pericolo per il razzo cinese, ma ne restano altri quattro a rischio. L’esperto: «La Cina non ha previsto un sistema di controllo»
Mezzo mondo con la testa in su, a cercare nel cielo un punto luminoso, un’avvisaglia del razzo lanciato in orbita dalla Cina e sul quale le autorità di Pechino avevano perso il controllo. Alla fine, i detriti di un colosso da 30 tonnellate e alto 18 metri sono piombati nell’Oceano Indiano, in un’area non troppo distante dalle Maldive. Nessun danno alla popolazione. Ma la storia del razzo “Lunga Marcia 5B” potrebbe ripetersi, con la previsione di almeno altri quattro lanci cinesi entro il 2022, indispensabili per ultimare la stazione spaziale made in China, la Tiangong 3.
«Non è la prima volta che capita un caso del genere. A causare questo tipo di grana è il fatto che la tecnologia spaziale cinese non ha previsto per i lanciatori “Lunga Marcia” una benché minima forma di controllo». A spiegare cosa abbia portato il razzo cinese a precipitare minaccioso verso la Terra è Paolo D’Angelo, storico dello spazio. Al Messaggero spiega: «Si tratta di un vettore costituito principalmente da due grossi stadi con quattro razzi laterali. Il core centrale è quello che spinge il carico nello spazio, ma non arriva a distanze enormi e quando scende sotto la quota di 180-190 chilometri dalla Terra non è più controllabile».
E conclude: «A poco a poco si avvicina sempre di più all’atmosfera, con i risultati che tutto ciò comporta». Il punto è che quando si tratta di oggetti così grandi, non è detto che tutto il materiale di cui sono composti si disintegri entrando al contatto con l’atmosfera. «L’involucro del razzo sicuramente è sicuramente destinato a frantumarsi in toto – chiarisce D’Angelo – perché costituito da metalli che si fondono a quelle temperature di contatto, ma per pezzi come il motore, realizzati per resistere, è un terno a lotto: c’è la possibilità che qualche frammento arrivi sulla superficie terrestre con esiti non proprio felici».
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