Trump, Soros e il franco delle colonie: la strana coppia Di Battista-Meloni, uniti contro il governo e in libreria
Che siano diversissimi tra loro, per campo politico di appartenenza e storia personale, è evidente. Ma esistono anche tante assonanze tra Alessandro Di Battista e Giorgia Meloni. I due leader – chi di una schiera di follower, chi di un partito – sono impegnatissimi, nei talk show e sui media, per pubblicizzare i rispettivi libri. Io sono Giorgia, autobiografia della segretaria di Fratelli d’Italia – è uscito in libreria l’11 maggio. Contro, del pasionario che ha lasciato il Movimento 5 stelle, il 14. La prima cosa che li accomuna è quella di essere gli unici veri capofila di un’opposizione al governo Draghi.
Non ne voglia Nicola Fratoianni, anche lui fieramente contrario, lo scorso 18 febbraio, alla fiducia all’esecutivo. Non è paragonabile, tuttavia, il suo consenso e quello di Sinistra italiana alla platea di persone che seguono Di Battista e Meloni. Il primo da fuori al parlamento e senza un’organizzazione politica alle spalle, la seconda dallo scranno a Montecitorio e coordinando i custodi delle ceneri di Alleanza nazionale. A mezz’ora in più, il 16 maggio, sia Di Battista sia Meloni sono intervenuti per presentare la propria opera letteraria.
«Potrei decidere di rientrare nel M5s, se lascia il governo Draghi – ha detto l’ex del Movimento ai microfoni di Lucia Annunziata -. Ho il diritto di prendermi del tempo per valutare quali posizioni prendere contro il conformismo della Pax draghiana». Nella stessa direzione contraria all’ex banchiere, Meloni: «Spero che il governo non duri tantissimo e che si voti il prima possibile». Sulla possibile corsa di Draghi al Quirinale, nel 2022, ha poi smorzato gli entusiasmi degli altri alleati di centrodestra: «Non ho elementi per sostenerlo». È solo l’ultima delle adiacenze che rendono curioso il parallelismo Di Battista-Meloni.
Il fuoco di paglia contro il franco delle colonie
Non è la prima volta che i due leader politici intervengono a pochi minuti di distanza, in tv, portando argomentazioni simili. L’ultima, domenica scorsa: per presentare i propri libri, certo, ma anche contro l’attuale esecutivo. Tornando indietro a due anni e mezzo fa, quando la maggioranza era formata da Movimento 5 stelle e Lega, Di Battista e Meloni fecero un’altra comparsata in quasi perfetta sincronia. Allora il bersaglio non era Draghi, ma la Francia e una valuta utilizzata in 14 Paesi africani.
«Questo si chiama franco cfa è la moneta coloniale che la Francia stampa per 14 Nazioni africane, alle quali applica il signoraggio e sfrutta le risorse di queste nazioni», disse Meloni su La7, mostrando a favore di telecamera un fac simile della banconota. A pochi minuti di distanza, su Rai1, Di Battista estrasse dalla tasca la stessa banconota, sostenendo: «È una manetta nei confronti dei popoli africani. Possiamo parlare per ore di porti aperti o chiusi, ma le persone continueranno a scappare se non agiamo sulle cause». Che sia stata un’incredibile coincidenza oppure un’azione ben studiata da entrambi per speculare su un tema che incrociava l’interesse di un certo tipo di elettorato, sbalordiva l’allineamento dei due leader di fazioni contrapposte.
Il Che Guevara di Roma Nord e l’almirantiana della Garbatella
Entrambi laziali, con un’accentuata romanità nello stile comunicativo, Di Battista e Meloni sono quasi coetanei: il primo è nato nel 1978, la seconda un anno prima. Lei è politicamente più precoce: inizia a fare attivismo a 15 anni nel Fronte della gioventù – organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano -, a 29 anni viene eletta deputata nella lista di Alleanza nazionale e, a soli 31, viene scelta come ministra per la Gioventù nel governo Berlusconi IV. È la più giovane della storia repubblicana a ricoprire questo ruolo. Quello stesso anno – era il 2008 -, Di Battista iniziava la sua attività politica, candidandosi alle comunali di Roma con la lista Amici di Beppe Grillo.
L’ex deputato 5 stelle ha dichiarato di aver votato, prima di entrare nel Movimento, per Fausto Bertinotti, Antonio Di Pietro e Walter Veltroni, per esplicita contrapposizione al mondo politico che gravitava attorno a Silvio Berlusconi. «Se proprio qualcuno volesse catalogare le mie convinzioni politiche, probabilmente sosterrebbe che si tratta di opinioni di sinistra», scrive lui stesso, nel libro appena pubblicato. In questo caso, è il padre di Di Battista ad assomigliare a Meloni: «Sinistra? Destra? Mi sembrano vecchie classificazioni. Io mi sento fascista – affermò Vittorio Di Battista – combatto il liberalcapitalismo e la globalizzazione, credo nelle democrazie partecipative, socializzatrici e solidaristiche».
Meloni, dal canto suo, non ha mai nascosto di avere un «rapporto sereno con il fascismo» sottolineando che Benito Mussolini «è un personaggio complesso, va storicizzato». Tra Di Battista, Che Guevara di Roma Nord, e Meloni, almirantiana della Garbatella, non sono mancati gli apprezzamenti, nonostante la matrice politica differente. La leader di Fratelli d’Italia, quando i 5 stelle hanno votato “sì” su Rousseau all’adesione al governo Draghi, disse: «rispetto la posizione di Di Battista all’interno del Movimento. Si è battuto per il no, con un quesito normale probabilmente avrebbe anche vinto, perché il quesito su Rousseau era surreale e forzato, e giustamente con la vittoria del “sì” si è fatto da parte».
La vicinanza a Trump, il feticcio della lotta ai poteri forti e l’interesse per Mosca
Guardando oltre i confini nazionali, Di Battista e Meloni hanno condiviso diverse battaglie, non solo quella del franco delle colonie. Da entrambi sono arrivate pesanti critiche a Barack Obama e, contemporaneamente, elogi per Donald Trump. «In politica estera Trump si sta comportando meglio di tutti i presidenti Usa precedenti, incluso quel golpista di Obama (a Tegucigalpa ho parlato a lungo con Manuel Zelaya, ex-presidente dell’Honduras buttato giù con un colpo di stato avallato da Obama e dalla Clinton). La Clinton avrebbe voluto far fare ad Assad la stessa fine di Gheddafi e la Siria vivrebbe ancor più morte e distruzione di quella che ha vissuto in questi ultimi anni». A scriverlo, nel dicembre 2018, fu Di Battista.
«Barack Obama ha dichiarato che nei suoi otto anni da Presidente ha “reso gli Usa un Paese migliore” – affermò, invece, Meloni -. Non so se sia vero, bisognerebbe chiedere agli americani, di sicuro so che ha reso il mondo un posto peggiore con il caos in Medio Oriente e Nord Africa, con il dilagare dell’Isis e del terrorismo, con una nuova guerra fredda scatenata contro la Russia. A noi Obama non mancherà». E sull’ex presidente repubblicano, uscito sconfitto dal duello con Joe Biden, la leader della destra affermò, poco prima delle ultime elezioni: «Da patriota italiana, spero possa vincere Donald Trump. Abbiamo già visto le disastrose conseguenze che la politica estera e la dottrina Obama-Clinton hanno avuto sulla difesa dell’interesse nazionale italiano».
Coincide, insomma, la visione dei due sulle politica estera della Casa Bianca. Ma anche sul versante del Cremlino, Di Battista e Meloni hanno idee simili. In un lungo passaggio di Io sono Giorgia, la segretaria di Fratelli d’Italia scrive: «La Russia è parte del nostro sistema di valori europei, difende l’identità cristiana e combatte il fondamentalismo islamico. Deve farlo in pace con le nazioni vicine, e gli Stati europei che confinano con il grande orso russo devono poter guardare al futuro con serenità senza il timore di veder tornare l’aggressiva politica imperiale di Mosca».
E ancora: «Abbiamo bisogno di un equilibrio che assicuri una pace secolare, definitiva, tra Europa e Russia, e questo non si otterrà con la miope politica della contrapposizione muscolare tanto cara a Obama prima e a Biden adesso. Se riusciremo a farlo, con intelligenza, Occidente e Russia saranno entrambi più forti e sicuri. E il Dragone cinese sarà un po’ più solo». Di Battista, d’altro canto, ha fatto più volte apprezzamenti per Vladimir Putin: «Comunque la pensiate su Putin dovreste riconoscere che per la pace a livello mondiale una Russia forte politicamente è fondamentale. Guardate la crisi venezuelana. Senza Putin già ci sarebbe stato un intervento armato Usa – ha scritto l’ex 5 stelle su Facebook -. L’Italia ha il dovere di scongiurare qualsiasi ipotesi di intervento armato in Venezuela. Sarebbe una tragedia ancor peggiore per la popolazione. Questo Putin l’ha capito, Macron evidentemente no!».
E in questa lunga corrispondenza di affinità politiche, scorre nei due leader lo stesso livore nei confronti dei cosiddetti poteri forti. George Soros, per entrambi, rappresenta uno dei simbolo del nuovo ordine mondiale, della globalizzazione sfrenata e del turbocapitalismo. Per questo, nemico dell’Italia. Nel 2018, Meloni lanciava una proposta di legge anti-Soros «per evitare che persone come lui finanzino le organizzazioni non governative, che favoriscono l’immigrazione irregolare perché l’obiettivo che hanno è quello di indebolire gli Stati sovrani e di far vincere la speculazione».
Di Battista, invece, nella battaglia del Movimento contro Radio Radicale – chiamata sul Blog delle stelle Radio Soros -, affermava: «La cara Emma – Bonino, ndr -potrebbe chiamare il suo amico George Soros e, dopo averlo ringraziato per i 200 mila euro appena donati da lui a +Europa, potrebbe chiedergli per Radio Radicale l’1% di tutto ciò che incassò nel 1992 con quella speculazione che fece a danno della lira e della nostra economia. Speculazione legittima si dirà, come è legittimo tagliare i fondi all’editoria aggiungo io». La lista delle attiguità tra Meloni e Di Battista è lunga – si potrebbero citare, ad esempio, la battaglia di Bibbiano contro il Partito democratico e gli attacchi alla capitana della Sea Watch Carola Rackete -. Chissà che, nelle prossime settimane di promozione dei rispettivi libri, non emergano inedite convergenze. È certo, invece, che non saranno mai d’accordo su una cosa: il calcio. Lei è tifosissima della Roma, lui è un fan accanito della Lazio. E la fede, a differenza delle posizioni politiche, è più durevole.
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