Cosa c’entra la vitamina D con il Coronavirus? Ecco cosa sappiamo davvero (al netto dei complottismi)
Fin dagli inizi della pandemia si è ipotizzato che la somministrazione di determinate dosi di vitamina D potesse avere una funzione anti-virale, o che integrare questa vitamina potesse migliorare il Sistema immunitario e così scongiurare la possibilità di essere infettati dal Coronavirus. Un recente studio apparso su Jama ha provato a vedere se per caso le persone con carenze di questa vitamina avessero maggiori probabilità di risultare positive al SARS-CoV-2. Nei loro risultati gli autori suggeriscono che non vi siano evidenze di una associazione tra bassi livelli di vitamina D e una maggiore suscettibilità di essere infettati.
Come è stato svolto lo studio
I ricercatori hanno raccolto i dati relativi a uno screening sanitario che ha coinvolto 18.148 cittadini degli Stati Uniti dal settembre 2019 a gennaio 2020 e dall’agosto al novembre 2020. Si sono potute così ossevare le correlazioni tra scarsi livelli di vitamina D (inferiori a 20ng/mL) e la presenza di anticorpi neutralizzanti. L’ipotesi infatti è che tale sostanza in quantità adeguate possa migliorare la risposta immunitaria. I risultati però non mostrano alcuna correlazione.
«In questo studio di coorte, non abbiamo trovato prove di un’associazione indipendente tra bassi livelli di vitamina D e sieropositività al SARS-CoV-2 – scrivono i ricercatori nelle loro conclusioni – Questi risultati non supportano l’ipotesi che la vitamina D svolga un ruolo nella suscettibilità all’infezione da SARS-CoV-2».
Limiti dello studio
Lo studio non considera l’eventualità che possano essere stati rilevati anche anticorpi crossreattivi, ovvero che oltre a rispondere a un altro virus risultano casualmente rettivi anche al SARS-Cov-2. Si stima tuttavia che vi sia una probabilità non superiore al 10% che possano esservi falsi positivi dovuti alla crossreattività. Qui parliamo di un campione di quasi 20 mila persone dove sono stati fatti dei controlli statistici. I ricercatori ammettono anche la possibilità di falsi negativi:
«Alcuni individui sieronegativi potrebbero essere stati infettati dal virus SARS-CoV-2 ma non identificati dal test sierologico utilizzato (il test sierologico ha una sensibilità segnalata dal 90% al 100%)».
I risultati sono limitati anche da un «bias di selezione», dovuto al fatto che sono stati studiati solo individui che hanno scelto di essere testati per la vitamina D e la sieropositività agli anticorpi del SARS-CoV-2. Inoltre gli anticorpi neutralizzanti potrebbero essersi sviluppati in quantità rilevabile solo dopo la partecipazione allo screening.
La vitamina D ha proprietà antivirali?
Se i ricercatori più rigorosi devono tener sempre conto dei limiti delle proprie ricerche, per evitare di alimentare aspettative infondate, c’è chi da tempo coltiva la narrazione della vitamina D intesa come antivirale. Diversi guru delle medicine alternative e scienziati che volevano accertare questa possibilità hanno sostenuto ipotesi simili. In articolo firmato da due professori dell’Università di Torino si ipotizzava un presunto ruolo preventivo della vitamina D. Questa ricerca ha provocato un certo clamore nella stampa che ha rilanciato i risultati, spesso gonfiandoli. Troviamo anche studi di scarsa qualità, dove i bias sono piuttosto marcati, i quali possono comunque superare la la peer review, dando l’impressione che esistano davvero evidenze di efficacia.
Enrico Bucci, Adjunct Professor presso la Temple University di Philadelphia, lamentò in un post pubblicato su suo blog Cattivi Scienziati, di come una ricerca alla quale aveva partecipato fosse stata distorta ad arte, in modo che risultasse una prova dell’efficacia della vitamina D. Insomma, da diverso tempo registriamo una presenza rilevante di questa vitamina nelle narrazioni complottiste, elencata persino tra le presunte «cure proibite» dai Poteri forti.
Foto di copertina: Integratori vitaminici, immagine di repertorio.
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