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La pandemia ha bloccato la prevenzione dei tumori: «Più di 600 mila donne senza diagnosi. Le giovani rischiano di più» – L’intervista

22 Maggio 2021 - 09:00 Giada Giorgi
Il 39,7% dei carcinomi mammari riguarda donne under 35, con un alto rischio di recidiva e forme aggressive. Alla luce degli ultimi dati la scienziata dell'Airc Ann Zeuner, paziente oncologica, racconta l'impatto dell'epidemia sulla lotta alle patologie tumorali: «Stress e maltrattamenti, le donne si ammalano anche per questo»

Quando si trascorrono più di 25 anni in un laboratorio con l’unico scopo di provare a salvare le vite degli altri, non è facile dover accettare che all’improvviso la persona da salvare sei tu. La dottoressa Ann Zeuner, scienziata e biologa dell’Airc, racconta una doppia sfida, quella che da ricercatrice e paziente oncologica tuttora porta avanti. Il cancro alla mammella che l’ha colpita all’improvviso è al primo posto nella lista dei tumori più frequenti tra le donne, ben il 30% di tutte le diagnosi tumorali. Una percentuale che si alza ancora di più quando si parla di giovani donne: è il 39,7% delle under 35 a venire colpito da carcinoma mammario, in molti presentandosi in forme aggressive e ad alto rischio di recidiva.

È per questo che, nonostante la comparsa della malattia, Zeuner non ha mai smesso di studiare «quelle cellule impazzite» che ora albergano anche nel suo corpo. Ad Open racconta la sua esperienza anche e soprattutto alla luce degli ultimi dati che la pandemia ha fatto registrare: il 99% degli interventi per tumori alla mammella sono stati posticipati, con un ritardo negli screening dai 4 ai 5 mesi. «Un tempo prezioso che in molto casi può voler dire la differenza tra il continuare a vivere o il morire», spiega Zeuner. Più di 600 mila donne in meno esaminate nel 2020, 1 milione di screen mammografici non eseguiti, 3.000 diagnosi di carcinoma alla mammella mancate, sono gli ulteriori dati di una situazione quanto mai urgente.

AIRC| La dottoressa e biologa Ann Zeuner

«Un risultato che non può che significare altra sofferenza» continua Zeuner, «e che nel prossimo futuro porterà a un forte aumento delle patologie tumorali che non sono state scoperte per tempo. Trascurati gli screening, ridotti gli appuntamenti, molte donne si sono auto danneggiate sottraendosi a importanti visite per il timore di recarsi negli ospedali ed essere contagiate. Questo porterà a un tragico effetto domino» continua la dottoressa Zeuner, che però non si arrende.

«Me le osservo ogni giorno sperando non si sveglino»

Si chiamano cellule tumorali staminali e Zeuner le studia da anni, avanzando nella scoperta «di unità enormemente complesse e diverse tra loro». Tra queste esistono le cosiddette “dormienti”. «Sono quelle che dopo un’operazione o radioterapia possono rimanere nel corpo della paziente per un periodo che va da pochi mesi a 20 anni, per poi risvegliarsi di colpo», spiega la biologa. È cosi che i tumori, anche dopo molto tempo, si ripresentano, colpendo «spesso in forma ancora più grave». Nel caso del cancro alla mammella succede a più del 7% delle donne, «un numero ancora drammaticamente alto», racconta la ricercatrice.

Quelle cellule dormienti, ormai presenti anche nel suo corpo, la dottoressa Zeuner racconta di guardarsele tutti i giorni attraverso «il technicolor»: lo strumento da laboratorio è diventato un modo per guardarsi dentro, per cercare di tenere addormentate le tracce di un tumore che è riuscita a sconfiggere già una volta. Era il 2018 quando la dottoressa Zeuner scopre di essere malata di cancro alla mammella. «Quel fibroadenoma benigno al seno, nascondeva dietro di sé un tumore in crescita che i regolari controlli non avevano fatto emergere», racconta la biologa.

Il seminario Airc che la dottoressa fu chiamata a tenere proprio nel febbraio di quel 2018 fu provvidenziale: «Il tema era la prevenzione e per l’occasione andai a ripassare tutti i segni e i sintomi del tumore al seno per poterli comunicare meglio alle donne che partecipavano». Fu così che tra i vari segni elencati dalla letteratura scientifica, la dottoressa Zeuner ne riconobbe uno anche sul suo corpo. «La pelle del seno che si incavava a causa di un’aderenza a qualcosa di presente. Mi sono accorta che era il mio caso, ho prenotato di nuovo ecografia e mammografia, da lì l’allarme».

Il nemico da combattere si era fatto ancora più vicino fino a riguardarla in prima persona ed è stato a quel punto che le conoscenze da scienziata hanno incontrato i bisogni di una paziente oncologica. «Screening e prevenzione sono salvavita a cui non possiamo rinunciare», spiega Zeuner, soprattutto nel caso di una sintomatologia molto scarsa come quella tipica del cancro alla mammella. Nelle giovani donne poi tutto questo sembra essere ancora più importante: il senso più denso richiede esami e tecniche di diagnosi precoce più avanzati rispetto ai metodi classici.

«Stress e maltrattamenti, le donne si ammalano anche per questo»

«Venivo da un periodo di stress prolungato per grossi problemi familiari che mi hanno portato a trascurare il mio corpo, a dormire pochissimo, a nutrirmi in modo irregolare, a vivere in uno stato di perenne preoccupazione per quello che mi circondava», racconta la dottoressa, che ancora di più da paziente ha avuto la conferma di quanto già intuito da scienziata. Gli effetti di uno stress prolungato contribuiscono alla comparsa della malattia e «considerato il periodo di pandemia, tutto quello che è successo nell’ultimo anno e mezzo non ha che peggiorato la situazione soprattutto nella popolazione femminile».

Un carico di responsabilità maggiore nel dover gestire «il lavoro da casa, la situazione familiare con bambini e scuole chiuse, i genitori anziani. Per non parlare dei maltrattamenti tra le mura domestiche e il carico emotivo che contesti sociali di disagio hanno provocato in condizioni di restrizione e isolamento», continua a spiegare Zeuner. Gli studi scientifici parlano dello stress prolungato come fattore di grande influenza sulla comparsa della malattia soprattutto per il cancro all’ovaio, uno dei tumori più aggressivi e che attualmente rappresenta il 5% dei casi nella popolazione femminile di tutta Europa.

La seconda causa di morte femminile e non è il Covid

Dopo le malattie cardiovascolari, i tumori sono la seconda causa di morte nella popolazione femminile. Il cancro della mammella in particolare è la prima causa di morte oncologica per le donne in tutte le fasce di età, con il dato più alto del 28% dai 0 ai 45 anni. Una percentuale che va arginata «insieme ai 460 decessi che si contano al giorno a causa del cancro», spiega Zeuner. «Senza nulla togliere alla gravità della pandemia, non tutti conoscono questi numeri enormi. Le morti per tumore accadono senza che questo provochi misure emergenziali o la messa in campo di particolari risorse», aggiunge la dottoressa che ora ribadisce la centralità della ricerca scientifica.

Andare avanti a ricercare terapie sempre meno invasive e più efficaci è obiettivo a cui la scienza medica mira, anche per garantire un ritorno reale alla normalità per tutte quelle donne che riescono a vincere la battaglia. E la dottoressa Zeuner ne è un esempio. Dopo l’operazione subìta e i cicli di radioterapia che l’hanno aiutata a sconfiggere il cancro, attualmente la scienziata è alle prese con la terapia ormonale. «Di cui non si parla tanto forse perché ritenuta meno invasiva di chemio o radioterapia ma assicuro che non è per nulla facile». Prevista per diversi anni, la cura ormonale provoca «dolori articolari molto forti, osteoporosi, con tutto quello che questo può significare nella quotidianità. Per non parlare poi dell’inibita possibilità di avere figli, causa di grande sofferenza per molti giovani donne».

Il timore è anche quello di una guerra da dover combattere di nuovo, quando le cellule “dormienti” rimaste nell’organismo decideranno di svegliarsi. Colon, polmoni e mammella sono le tre parti più interessate dalla ricomparsa, spesso più aggressiva, della malattia nelle donne. «Per cui continua ad essere fondamentale studiarne le caratteristiche e i singoli meccanismi di risveglio» ribadisce Zeuner.

«Io sono fortunata ma le altre donne come fanno?»

Organizzare un piano oncologico per recuperare il tempo e la salute perduta di tantissime donne è dunque uno degli obiettivi centrali per il prossimo futuro. «Sostenere le pazienti vuol dire in primis poter loro garantire un’affidabilità di strutture mediche, di ricerca e di cura in maniera identica su tutto il territorio e per tutti» spiega la dottoressa Zeuner. L’Airc continua a dare un grande aiuto ma le esigenze che la ricercatrice evidenzia sono ancora molte: «Le risorse che ci arrivano dallo Stato non coprono minimamente i bisogni necessari», spiega, «da anni non ricevo un centesimo per fare ricerca, per comprare i materiali di consumo o per pagare le persone giovani che lavorano con me. Per fortuna c’è Airc, ma lo Stato dov’è? Così la ricerca pubblica va a morire».

Il sostegno alla scienza è fondamentale per continuare ad avere risposte e soprattutto pazienti guarite. «Ho vissuto la malattia non solo da paziente ma anche da ricercatrice e come tale ho ricevuto un grandissimo sostegno da parte di tutti i miei colleghi, pronti a consigliarmi i medici e i centri più accreditati per la cura al cancro. In quei momenti però il pensiero è andato a tutte le comuni cittadine che non avrebbero avuto certo lo stesso supporto. Si vive uno smarrimento totale, e la certezza di una buona cura non può essere privilegio di poche».

«Basta vergognarsi di essere malate»

Radioterapia, chemioterapia, interventi chirurgici, trattamenti ormonali. La strada che una donna percorre per sconfiggere il cancro è lunga e complessa anche dal punto di vista psicologico. Un corpo che non è più quello di prima, una percezione di sé stesse e degli altri stravolta «dalla vergogna di essere malate o addirittura dal tabù che spesso pesa sulla parola “cancro”». Il tabù di cui la dottoressa Zeuner parla è quello che ancora grava su troppe donne, costrette a vivere uno stato di disagio nei confronti di una società che le vuole “normali”. «Non si tratta di un virus esterno, ma di una malattia fatta di cellule nostre, un pezzo del nostro corpo a tutti gli effetti. Deviato, impazzito, ma è il nostro corpo». L’invito alle donne allora è quello di non rifiutarsi. «E non parlo di pensiero positivo fine a sé stesso, ma di un’accettazione del proprio stato come frutto di una profonda comprensione di quello che ci sta succedendo. Quel segnale grave chiede urgentemente di essere capito».

Un non rifiuto dunque che per Zeuner passa necessariamente attraverso la comprensione e quindi attraverso la formazione. «Parlare di prevenzione, di stile di vita, di conseguenze reali che ogni giorno una malattia come il cancro provoca su milioni di persone e di giovani deve essere il punto di partenza non solo degli scienziati ma anche dei mezzi di informazione pubblica, delle scuole, delle famiglie». È per queste ragioni che per la biologa dell’Airc «la libertà di vivere la propria malattia» deve vincere su qualsiasi paura di apparire «fragili e diverse», di fronte agli altri e a se stesse. «Capire di cosa avesse bisogno il mio corpo dopo il trauma del tumore e della chirurgia è stata una scoperta anche per me, non ero abituata a mettermi così al centro rispetto a tutto quello che avevo attorno, la malattia mi ha ricordato di farlo».

La ricerca va avanti

La ricerca intanto va avanti. In merito alle cellule “dormienti”, principale oggetto di studio della dottoressa Zeuner e del suo team di ricercatori Airc, esistono delle possibili strategie: «Una è quella di eliminare le cellule tumorali mentre dormono, con farmaci al momento già prodotti ma che si stanno sperimentando su grandi numeri di pazienti per attestarne la sicurezza e l’efficacia». L’altra strada è quella «di farle dormire per sempre». Una sfida dal punto vista farmacologico piuttosto delicata: «Si tratterebbe», spiega la biologa, «di dare per sempre un farmaco ai pazienti a rischio di ricaduta. La prerogativa dovrà essere quella di creare un prodotto poco tossico e invasivo, ma allo stesso modo efficace».

Non ultima per importanza, la soluzione che «non prevede strategie farmacologiche né particolari effetti collaterali» e cioè lo stile di vita. «Sarà fondamentale proteggerci dallo stress prolungato» ribadisce la dottoressa, «prenderci cura del nostro corpo con attività fisica, seguire un’alimentazione volta proprio a non svegliare più quelle cellule dormienti. Siamo delle sopravvissute a una guerra che è giusto non dimenticare».

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