Dalle «Lgbt free zone» polacche alle carceri californiane, il fact checking dell’incontro sul Ddl Zan
Nel confronto organizzato da Open con il deputato PD Alessandro Zan, per discutere il disegno di legge che porta il suo nome, non si è presentato alcun esponente leghista. Un ordine dall’alto che non ha impedito un dibattito ricco di spunti con un esponente del partito di opposizione all’attuale Governo Draghi, l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza che, durante l’incontro, è intervenuto rispondendo ad alcune accuse fatte da Alessandro Zan alle decisioni prese a livello europeo sul tema LGBT. Durante l’incontro non sono mancate anche le cosiddette «fake news» a sostegno di una o dell’altra posizione politica. Abbiamo analizzato le principali, come le cosiddette LGBT free zone in Polonia e il presunto arresto degli attivisti pro Family francesi colpevoli di aver indossato una maglietta con raffigurata l’immagine stilizzata di un papà, una mamma e due figli che si tengono per mano.
La Polonia e le LGBT free zone
Alessandro Zan introduce l’argomento riportando alla memoria la ILGA-Europe Rainbow Map dove l’Italia viene classificata come carente dal punto di vista dei diritti LGBTQI+, colorata di un rosso spento rispetto a quelli più accesi dei paesi dell’Est come la Polonia. In merito a questo Stato europeo, Zan cita le cosiddette «LGBT free zone» e di una mancata condanna al Parlamento europeo da parte di Fratelli d’Italia:
Ricordiamoci che quella parte dell’Europa, come sa l’onorevole Fidanza, in Polonia ci sono le LGBT free zone, cioè delle zone dove le persone persone omosessuali non possono entrare. E mi dispiace che Fratelli d’Italia non abbia votato la mozione nel Parlamento europeo che condanna le LGBT free zone in quei Paesi.
Nel corso del 2020 diverse amministrazioni locali polacche, che coprono circa un terzo del territorio nazionale, hanno adottato delle cosiddette «LGBT free zone». Sono davvero delle aree dove le persone persone omosessuali non possono entrare? Non è così.
Veniamo al contesto. Nel 2019 il sindaco di Varsavia, Rafał Kazimierz Trzaskowski, aveva firmato una dichiarazione (PDF) dove l’amministrazione includeva le questioni LGBT nell’educazione scolastica (toccando questioni come l’antidiscriminazione e l’educazione sessuale). Un fatto contestato dalle aree conservatrici, in particolare dal Presidente del partito PiS Jaroslaw Kaczynski, il quale definì i diritti LGBT una minaccia per la Polonia. Ricordiamo che tale partito fa parte del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei guidato dalla Presidente Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia.
Altre amministrazioni locali si dichiararono contrarie alla dichiarazione di Varsavia, adottando la «Carta dei diritti della famiglia» (un documento ideato dalla Fondazione polacca Ordo Iuris in collaborazione con diverse associazioni come CitizenGo Polska) o istituendo le «Strefa wolna od lgbt» poi definite a livello internazionale «LGBT free zone».
Nelle cosiddette «LGBT free zone» vennero istituite con l’obiettivo di scoraggiare le manifestazioni LGBT ed escludere le associazioni LGBT da progetti e bandi di concorso.
A far credere che ci fosse una sorta di area dove gli omosessuali non potevano entrare sono stati due episodi: quello degli adesivi distribuiti dal settimanale Gazeta Polska e dei cartelli stradali finti installati da un attivista LGBT, Bartosz Staszewski. C’è da dire che l’iniziativa degli adesivi venne ostacolata dalle autorità giudiziarie polacche.
Non si parla di zone dove «le persone persone omosessuali non possono entrare», come affermato semplicemente da Alessandro Zan a Open incontra, ma di impedimento a manifestare e ottenere spazi pubblici, così come fondi, per le loro attività di promozione contro la discriminazione e a favore dei diritti LGBT. La stessa risoluzione votata dal Parlamento europeo non parla di zone proibite fisicamente agli omosessuali:
Considerando che, dall’inizio del 2019, si sono registrati in Polonia oltre 80 casi in cui regioni, province o comuni hanno approvato risoluzioni con le quali si dichiarano indenni dalla cosiddetta “ideologia LGBT” o hanno adottato “Carte regionali dei diritti della famiglia” o disposizioni fondamentali contenute in tali carte, discriminando in particolare le famiglie monoparentali e LGBTI; che tali risoluzioni chiedono ai governi locali di astenersi dall’intraprendere azioni volte a promuovere la tolleranza nei confronti delle persone LGBTI, dal fornire sostegno finanziario alle ONG che operano per promuovere la parità di diritti, dall’organizzare l’istruzione in materia di lotta alla discriminazione o dal sostenere, in qualsiasi altro modo, le persone LGBTI; che la creazione di zone esenti da LGBTI, pur non determinando l’introduzione di una frontiera fisica, rappresenta una misura estremamente discriminatoria che limita la libertà di circolazione dei cittadini dell’UE; che tali risoluzioni rientrano in un più ampio contesto di attacchi contro la comunità LGBTI in Polonia, tra i quali un crescente incitamento all’odio da parte di funzionari pubblici ed eletti e di media pubblici, attacchi e divieti alle marce dell’orgoglio gay nonché a programmi e ad azioni di sensibilizzazione come il Venerdì arcobaleno;
L’europarlamentare Carlo Fidanza, rispondendo al deputato Zan, afferma quanto segue:
Se voi andate in Polonia… se una persona omosessuale va in Polonia non troverà nessuna zona del Paese in cui gli sia vietato l’accesso, la circolazione, la libertà di riunione, di associazione, di fare quello che vuole. Non è così! È un falso!
Di fatto, alcune delle risoluzioni hanno come obbiettivo impedire le manifestazioni pubbliche degli attivisti LGTB. Nel comune di Rzeszow si doveva svolgere una marcia a favore dell’uguaglianza e contro le discriminazioni, fortemente contestata dal partito PiS che tentò di impedirla a livello comunale con una risoluzione che venne bocciata per soli due voti. Fidanza prosegue:
Che cosa sono le LGBT free zone? Nient’altro che una serie di mozioni, approvate come impegni politici da consigli regionali, consigli comunali di diverse zone della Polonia, con cui si ribadisce che la priorità dell’azione politica di quelle istituzioni locali viene data alla famiglia naturale e alle politiche di sostegno alla famiglia che si è contrari alla ideologia gender, alla ideologia LGBT e non certo ai diritti delle persone che liberamente possono avere le loro preferenze sessuali senza che ci sia alcun tipo di divieto, di reato e di persecuzione di alcun genere.
Alcune delle risoluzioni adottate dalle amministrazioni locali, ormai note come «LGBT free zone», vennero poi contestate dalle autorità giudiziarie in quanto ritenute discriminatorie e volte a escludere dalla comunità cittadini polacchi in base alle loro preferenze sessuali. Tra le azioni giudiziarie troviamo quella del Tribunale di Gliwice che annullò la risoluzione del Consiglio comunaledi Istebna in quanto discriminatoria.
L’intervento di Fidanza in risposta a Zan sulla questione polacca si conclude così:
Noi non abbiamo votato quella mozione a cui faceva riferimento l’onorevole Zan al Parlamento europeo che aveva come titolo che l’Europa sarebbe dovuta diventare una “LGBT freedom zone” perché riteniamo una formulazione di questo genere auto-discriminatoria.
Alessandro Zan faceva riferimento alla votazione della risoluzione di mercoledì 18 dicembre 2019 «Risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2019 sulla discriminazione in pubblico e sull’incitamento all’odio nei confronti delle persone LGBTQI+, comprese le zone libere da LGBTI» (Fidanza votò contro), mentre quella della cosiddetta «LGBT freedom zone» era una risoluzione (PDF) del marzo 2021 (Fidanza votò contro) passata poche ore dopo che la Polonia aveva annunciato un intervento per limitare le adozioni da parte degli omosessuali.
La maglietta francese
L’europarlamentare Fidanza propone al pubblico un esempio di come alcune leggi simili a quelle proposte da Alessandro Zan, nello specifico quella francese, abbiano limitato la libertà di espressione dei cittadini tanto da venire arrestati:
In Francia, con la legge Taubira che è entrata in vigore credo nel 2013 o nel 2014, sono state arrestate delle persone che avevano addosso la maglietta della Manif Pour Tous, un movimento pro Family, che aveva come simbolo stilizzato mamma e papà con dei bambini ai loro lati. Queste persone sono state arrestate per propaganda omofoba secondo la legge Taubira.
L’europarlamentare non precisa date e protagonisti, ma da una ricerca online è possibile riscontrare diversi articoli che riportano un fatto che sarebbe avvenuto il primo aprile 2013 mentre la «legge Taubira» del 2013 venne approvata il 24 aprile 2013, ben 23 giorni dopo. C’è da dire, inoltre, che il movimento pro Family Manif pour tous era nato nel 2012 e puntava a contrastare il matrimonio tra le persone omosessuali approvato poi nel 2013.
La vicenda riguarda degli attivisti che si erano presentati con la maglietta del movimento presso i Giardini del Lussemburgo a Parigi, presidiato dalla polizia in quanto sono i giardini del Senato francese. Tra gli attivisti c’era Franck Tellu, l’uomo fotografato con la felpa del movimento con accanto un agente francese, il quale aveva dichiarato di essere stato multato perché indossava un abito «contrario al buon costume». Diversa, invece, la motivazione riportata nel documento rilasciato dagli agenti: «Organizzazione di una manifestazione senza autorizzazione».
Non risulta che l’uomo sia stato arrestato. Risulta, invece, che sia stato multato per manifestazione non autorizzata.
La domanda a Giorgia Meloni
Un altro momento acceso era quello relativo a una domanda che era stata posta a Giorgia Meloni, tema introdotto da Zan:
La teoria gender… allora, è stato chiesto a Giorgia Meloni che cos’è la teoria gender e lei ha risposto “Non lo so”. Sono d’accordo con Giorgia Meloni, neanche io so che cos’è la teoria gender.
L’europarlamentare Fidanza risponde a Zan facendo una distinzione:
L’identità di genere, non la teoria gender.
Ecco la trascrizione del video della conferenza stampa di Giorgia Meloni dello scorso 5 maggio 2021:
Giornalista: «[…] una definizione di gender, di gender. Volevo sapere secondo lei che cos’è il gender, se lo conosce…»
Giorgia Meloni: «Ah! Guardi, io non l’ho mai capito bene e credo neanche quelli che lo propongono, infatti ne propongono sempre di nuovi»
Di fatto, la domanda posta non riguardava la «teoria gender» ma la definizione di «gender»:
gender ‹ǧèndë› s. ingl. (propr. «genere»; pl. genders ‹ǧèndë∫›), usato in ital. al masch. – La distinzione di genere, in termini di appartenenza all’uno o all’altro sesso, non in quanto basata sulle differenze di natura biologica o fisica ma su componenti di natura sociale, culturale, comportamentale: gli studi sul g.; anche in funzione appositiva: la conferenza ha affrontato tematiche gender.
Il carcere californiano
L’eurodeputato Fidanza racconta poi un episodio che sarebbe avvenuto negli Stati Uniti, per la precisione in California:
Da quando ad esempio in California […] è stato introdotto il diritto al self ID, all’auto riconoscimento o all’auto percezione per intenderci, abbiamo avuto centinaia di detenuti delle carceri californiane, magari che erano in galera per reati sessuali contro donne, che si sono autoproclamati – perché auto-percepiti, formalmente lo potevano fare secondo quella legge – donne e sono finiti nei reparti degli istituti carcerari con le donne che erano state le loro vittime.
Cercando online qualche riferimento troviamo un articolo di Tempi dell’otto aprile dal titolo «Tre parole per smontare il ddl Zan» dove leggiamo:
E a proposito di penitenziari, il Los Angeles Times ha appena raccontato una storia molto istruttiva che arriva dalla California dove una legge iper progressista su queste materie è appena stata approvata. Poi è successo questo: centinaia di trans, detenuti nei carceri maschili, hanno chiesto il trasferimento nelle prigioni femminili. Uomini, dunque, che si dichiarano donne, a prescindere dal fatto che abbiano completato la transizione di genere e a prescindere dal fatto che queste loro parole siano vere o meno.
Il riferimento alla violenza sessuale viene posta nell’ultimo paragrafo dell’articolo:
La battuta più interessante di tutto l’articolo del Los Angeles Times è quella che smonta in sole tre parole tutta la retorica sul gender, sul sentirsi uomo o donna, sull’identità fluida, eccetera eccetera. Quando la realtà diventa pressante, quando – come in questo caso – il pericolo che gli stupri aumentino è un pericolo molto reale, concreto, sentito, fattuale, bastano le tre parole con cui le guardie hanno avvisato le detenute del prossimo arrivo dei trans: «Men are coming». Attente, gli uomini stanno arrivando.
L’eurodeputato Fidanza pone come esempio («magari») che tali detenuti potessero essere stati incarcerati «per reati sessuali contro donne» e la possibilità che questi finiscano nelle carceri dove si potrebbero trovare le loro precedenti vittime. Questa risulta essere una sua supposizione nata dalla lettura di articoli come quello di Tempi o dello stesso Los Angeles Times dove si riportano le parole rivolte dal personale carcerario alle detenute: «Gli uomini stanno arrivando». L’articolo della testata americana, però, riporta un tono diverso in merito alla vicenda, dove si denunciano le violenze subite dai transessuali nelle carceri maschili e della disinformazione diffusa proprio dal personale carcerario fomentando la transfobia.
L’articolo del Los Angeles Times spiega che non basta presentare la richiesta di trasferimento a un carcere femminile, tenendo conto anche della possibilità che un detenuto possa tentare di manipolare il sistema: «Il CDCR valuterà qualsiasi richiesta presentata da una persona incarcerata per ottenere un alloggio basato sul genere», ha dichiarato al Times un portavoce delle carceri californiane, Terry Thornton. In che senso verranno valutate le richieste? In un articolo del 6 aprile 2021 di Lawenforcementtoday.com leggiamo che in base alle informazioni raccolte il detenuto verrà riassegnato o meno in base a tre condizioni: il rischio di trovarsi come vittima all’interno di un carcere, il rischio che possa essere a sua volta un aggressore o come persona non a rischio.
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