A Bruxelles lo smart working continua. La Commissione Ue abbandonerà la metà degli edifici entro 10 anni
Fin dalla rivoluzione digitale degli anni ’90 l’idea del lavoro da casa era considerata una conseguenza inevitabile del progresso tecnologico, ma anche se nei decenni successivi è diventata gradualmente una possibilità comprensibile da tutti, le resistenze mentali e le vecchie abitudini impedivano la diffusione di massa dello smart-working. Come spesso accade però, le tendenze restano dormienti o marginali finché non vengono scatenate da un’idea geniale o da uno shock esogeno, come il Covid-19. Durante i lockdown tutti hanno imparato (più o meno) cosa significa lavorare a casa come in ufficio. Adesso che le campagne vaccinali promettono la fine delle restrizioni, aziende e istituzioni pubbliche riorganizzano il lavoro e in base alla nuova realtà. In questi giorni tra gli addetti ai lavori sta facendo notizia l’annuncio del piano della Commissione europea di chiudere entro il 2030 la metà dei suoi edifici a Bruxelles, riorganizzando spazi e modalità di lavoro per un utilizzo costante dello smart-working anche dopo la fine della pandemia. La notizia arriva dalla versione europea di Politico, che riporta le parole del commissario per il bilancio e l’amministrazione Johannes Hahn.
Ridurre l’impatto ambientale
Il commissario ha affermato che con questa politica di riorganizzazione immobiliare la Commissione cerca di sfruttare le tecnologie digitali per essere più rispettosa dell’ambiente, riducendo le emissioni. Infatti, con una sapiente e massiva organizzazione dello smart-working è possibile ridurre drasticamente il pendolarismo quotidiano dei dipendenti e di conseguenza ridurre le emissioni del traffico urbano e degli edifici. La decisione è un cambiamento importante per una istituzione che ha nell’abbondanza di uffici – l’Ue ha un dipartimento per tutto e funzionari che rappresentano gli equilibri 27 nazioni – una delle caratteristiche distintive. Ma soprattutto, è un esempio che arriva da un’istituzione che rappresenta la seconda economia del mondo, evidenziando quanto la pandemia abbia ridisegnato il mondo del lavoro, per sempre.
«Come tutte le organizzazioni pubbliche e private, stiamo esaminando l’equilibrio migliore tra casa e ufficio… è la nuova normalità», ha detto Hahn. Secondo i sondaggi tra i dipendenti, oltre il 90% è favorevole a una settimana con 2-3 giorni di lavoro in smart-working. Il dato è significativo visto che non si tratta di persone che vivono un pendolarismo duro. Chi lavora alla Commissione di solito è ben pagato, non abita troppo lontano dall’ufficio, e la città di Bruxelles ha dei buoni collegamenti. Nonostante la chiusura di 25 edifici su 50 lo spazio totale disponibile scenderà solo del 25% (da 780.000 a 580.000 metri quadri), visto che la Commissione fonderà i dipartimenti in edifici più grandi. Al di là dei dettagli sulla riorganizzazione, il dato è già sufficiente per farsi un’idea di quanti spazi e uffici fossero impiegati male, o sovradimensionati. La riorganizzazione prevede il trasferimento in edifici nuovi, e una ripianificazione urbana che coinvolge il governo della Regione di Bruxelles.
Le grandi città dopo la pandemia
Per farsi un’idea italiana, l’esempio migliore è vedere cosa sta succedendo a una città dinamica come Milano, un polo dei servizi colpito dal virus e dalle restrizioni. Secondo uno studio di Lab24, se lo smart-working diventasse la nuova normalità il tasso di presenza di personale negli iconici palazzi dello skyline meneghino crollerebbe: fino al 5% per la torre Generali, al 60% per la torre PwC, al 30% la torre Allianz e al 25% per la torre UniCredit. Nelle torri di Regione Lombardia la presenza scenderebbe al 50%, mentre per il resto degli uffici della città si stima una presenza del 30% rispetto al totale.
Dati che non vanno presi come un valore assoluto, in un contesto di riorganizzazione molti spazi verrebbero ricollocati come sta facendo la Commissione a Bruxelles, ma servono per farsi un’idea di quante cose cambieranno e della necessità di occuparsi fin da ora delle ricadute sul modo in cui vengono vissute le grandi città. A occuparsene devono essere imprese, amministrazioni pubbliche, politica e istituzioni locali. Durante la pandemia l’attenzione si è concentrata sul ritorno alle attività che tutti vogliono fare, ma la nuova normalità sarà disegnata dalla possibilità di organizzare il lavoro liberandosi dalle cose inutili e sgradite.
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