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Strage del Mottarone, i racconti di 9 operai: «Giri di prova senza freni con turisti a bordo». Dubbi sui vecchi video: «I ceppi erano solo sul tetto»

03 Giugno 2021 - 08:20 Giulia Marchina
C'è chi ha raccontato di non sapere che i forchettoni disattivassero i freni e ricorda di averli visti con i passeggeri a bordo perché «Tadini voleva così»

Le attenzioni della procura di Verbania sono sempre più concentrate sul ruolo dei forchettoni nei freni nel cedimento della cabina 3 in cui sono morte 14 persone. Si accumulano così gli interrogativi sui “ceppi” che disattivano il freno d’emergenza, alla luce anche delle diverse testimonianze finora raccolte tra gli operai della ferrovia Stresa-Mottarone che materialmente lavoravano fino al giorno della strage. Chi era l’addetto ai forchettoni? E quando li inseriva? Su richiesta di chi? Ieri, 2 giugno, sono stati ascoltati dai pm nove dipendenti della società che gestiva l’impianto, per «assunzioni di sommarie informazioni»: sono macchinisti, vetturini, agenti di stazione, bigliettai.

L’ipotesi, sempre più solida, è che l’impiego prolungato dei forchettoni potrebbe avere scaricato una tensione eccessiva sulla fune e, quindi, la rottura all’altezza dell’attacco del carrello. Una teoria che trova spazio dopo che un videoamatore svizzero ha consegnato le sue immagini a una televisione tedesca, che le ha quindi girate alla procura di Verbania. Quei video mostrano i ceppi rossi sul tetto della cabina già nel 2014, poi ancora nel 2016 e nel 2018. La ricostruzione, come racconta La Stampa, è stata già smontata da un ex dipendente della funivia in pensione, che ha detto: «I forchettoni erano appoggiati sul tetto della cabina, non inseriti».

Le testimonianze

C’è chi ha raccontato di non sapere che i forchettoni disattivassero i freni e ricorda di averli visti con i passeggeri a bordo perché «Tadini voleva così»; c’è chi dice di aver azionato la corsa di prova del mattino, che serve a controllare la sicurezza dell’impianto prima dell’apertura al pubblico, con i turisti in cabina, anche la mattina del disastro. «Senta, lo sapevamo tutti che non era normale viaggiare con i forchettoni montati, ma io temevo di perdere il lavoro se avessi detto no», raccontano altri.

L’operatore del giro di prova

Il giro di testimonianze inizia da Pietro Tarizzo, l’operatore che il giorno del disastro aveva controllato la resistenza delle funi col consueto giro di prova. Al test, però – come riportato dal Corriere della Sera -, partecipano anche i turisti. «Quella mattina, per la corsa di prova, non sono salito da solo ma con altre 12 persone, oltre al mio collega Zurigo. Questa è stata la corsa di prova quella mattina. Nerini (gestore della funivia, indagato assieme a Gabriele Tadini ed Enrico Perocchio) ci ha detto “il gruppo sale con voi”. E a loro “salite”». I pm gli chiedono se è una consuetudine fare la corsa di prova con i turisti. «No, non lo è ma capita».

La capostazione

Patrizia Giannini, capostazione della Stresa-Mottarone, ha ammesso di non conoscere gli aspetti più tecnici relativi alla funivia: «Non sono a conoscenza della funzione del forchettone. So solo che venivano messi a fine giornata, a impianto fermo e cabina vuota».

La macchinista

Stefania Bazzaro, macchinista, conosceva i rischi del dispositivo inserito. «Era Tadini a ordinare l’applicazione dei ceppi sui freni d’emergenza anche durante il regolare funzionamento dell’impianto. Quando gli ho chiesto se dovessi toglierli lui mi ha risposto di lasciarli dov’erano che c’era un problema ai freni». Il vetturino Ahmed El Khattabi parla di dimenticanze: «È capitato di far viaggiare i passeggeri nella cabina con i ceppi. Per quanto ne so io succedeva quando l’addetto si dimenticava di toglierli. Ma è severamente vietato farle viaggiare così».

L’agente di stazione

Fabrizio Coppi, agente di stazione, ha detto di non sapere se la cabina possa viaggiare con persone a bordo e ceppo inserito: «Credo di no. Io li ho messi e tolti diverse volte. Ricordo di aver chiesto chiarimenti a Tadini, quando mi ordinò di non levarli. Disse: prima che si rompa una traente o una testa fusa ce ne vuole». C’è però una frase, pronunciata da Nerini, che gli è rimasta impressa, e che riguarda l’inserimento del dispositivo: «All’inizio mi disse “stai tranquillo che tanto non succede niente”. Il mese dopo fui costretto a calare 38 persone da una cabina bloccata».

Il vetturino

Massimo Ogadri, vetturino, era in servizio il giorno della strage: «Dal Mottarone ho visto del fumo salire in cielo dopo il pilone. Sono andato da solo sul posto, ho visto la vettura schiantata contro gli alberi. Mentre mi avvicinavo ho trovato il primo cadavere, a una trentina di metri dal pilone a terra, dove c’erano i segni del primo impatto con il suolo. Sono entrato nella cabina, ho trovato un uomo che respirava ancora, ci ho parlato per qualche attimo. Poi è morto davanti a me».

I corsi di sicurezza

Tra le testimonianze al vaglio della Procura, emerge anche un altro dettaglio: quasi nessuno dei dipendenti aveva mai svolto corsi per la sicurezza dei turisti. «Ho imparato sul campo, dal personale più esperto», dice Coppi. Così come il suo collega Alessandro Zurigo, prima vetturino e poi bigliettaio: «Feci solo un affiancamento con Tadini per una settimana». Il figlio del gestore, Federico Nerini, 22 anni, agente di stazione, qualcosa aveva fatto in passato: «Ho effettuato un corso sulla sicurezza e antincendio qualche mese dopo la mia assunzione e un apprendistato in Dad di un mese». La macchinista Bazzaro, spiega che, normalmente, «per svolgere le mie mansioni si viene affiancati a un operatore per un periodo e dopo si effettuano delle prove tecniche. Lei, invece, ha effettuato queste prove quasi subito».

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