Austria, dopo le proteste il governo fa dietrofront sulla mappa «dell’Islam politico». Le associazioni: «Ritirare la lista o al via azione legale»
L’Austria fa un passo indietro rispetto alla mappa pubblicata dal governo che rappresentava oltre 600 tra moschee e associazioni islamiche considerate realtà «politiche». La decisione dell’esecutivo presieduto da Sebastian Kurz, noto per le sue posizioni islamofobe, arriva dopo la mobilitazione delle realtà austriache musulmane come l’Islamische Glaubensgemeinschaft in Österreich (IGGiÖ), cioè l’autorità islamica religiosa del Paese, che ha definito la mappa come un mezzo di «potenziale pericolo per la società e l’ordine legale democratico nel paese». Dopo l’attentato di matrice islamista dello scorso novembre, a Vienna la tensione resta alta. Sulla vicenda si sono espressi, oltre alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, anche il Consiglio d’Europa, che ha ribadito come «la mappa abbia un effetto potenzialmente controproducente perché musulmani si sentirebbero stigmatizzati e minacciati dalla pubblicazione di indirizzi e altri dettagli».
La paura della comunità musulmana austriaca
Gli appartenenti alla comunità musulmana austriaca temono di essere vittime di attacchi islamofobi e razzisti. Dal lancio dell’iniziativa – avvenuta giovedì 2 giugno sul sito del ministero dell’Integrazione presieduto da Susanne Raab, e realizzata dall’Università di Vienna e dal Centro di documentazione dell’Islam politico -, in giro per Vienna sono comparsi cartelli che recitavano: «Attenzione, Islam politico nelle vicinanze». Al momento non si conoscono gli autori del gesto, ma i cartelli hanno ottenuto una larga condivisione soprattutto nei canali dell’estrema destra austriaca. Secondo il Muslim Youth Austria, un’organizzazione giovanile musulmana, la mappa rappresenta un «superamento dei limiti senza precedenti» e ha promesso un’azione legale per far cancellare la mappa dal sito del Ministero dell’Integrazione. «Nell’elenco si trova di tutto, dagli asili nido alle associazioni culturali», denunciano gli attivisti. «Questa connessione è diffamatoria e criminalizzante per tutti gli enti della lista».
Immagine di copertina:EPA/CHRISTIAN BRUNA
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