Uno scienziato militare cinese brevettò il vaccino prima della pandemia? Una non notizia che alimenta il complottismo
Le agenzie di stampa italiane riportano acriticamente una “news” del tabloid Daily Mail, il quale a sua volta si rifà al quotidiano The Australian. Si parla del virologo e «scienziato militare cinese» Zhou Yusen che avrebbe, depositato il brevetto del vaccino anti Covid il 24 febbraio 2020, tempo prima di morire in quelle che vengono definite «circostanze misteriose». Una narrativa che alimenta le teorie del complotto. «Zhou aveva anche legami con gli Stati Uniti», riporta AGI parafrasando il giornale australiano, il quale a essere precisi titola «Gli Stati Uniti hanno pagato l’Esercito di Liberazione del Popolo Cinese per progettare i coronavirus». Non viene riportata la fonte, mentre il Daily Mail fornisce un link con l’articolo originale, pubblicato il 4 giugno 2021 a firma Sharri Markson, dove si accusa indirettamente Anthony Fauci di aver finanziato col suo istituto una ricerca dell’esercito cinese all’interno dell’Istituto di virologia di Wuhan.
Zhou lavorava assieme a Shi Zhengli nel laboratorio da cui si teorizza sia sfuggito il virus, un’ipotesi ancora oggi non dimostrata. «Il loro documento di ricerca, presentato al Journal of Virology nel novembre 2019, è stato finanziato con tre sovvenzioni dei National Institutes of Health, tramite università statunitensi», afferma Markson. Purtroppo non possiamo conoscere i “dettagli” di questa accusa, perché dobbiamo aspettare che venga pubblicato il libro «What Really Happened In Wuhan», che casualmente è proprio di Sharri Markson.
«Zhou, che ha condotto la ricerca in collaborazione con l’istituto di Wuhan, l’Università del Minnesota e il New York Blood Center – continua Markson – è stato il primo a depositare un brevetto per un vaccino contro il Covid-19 il 24 febbraio dello scorso anno, secondo i documenti ottenuti dal The Weekend Australian. Questo è stato solo cinque settimane dopo che la Cina ha ammesso la trasmissione del virus da uomo a uomo».
Insomma, l’autore dell’articolo cita come fonte di approfondimento un suo libro in prevendita e presentato dall’editore come un misto tra thriller e saggio, dove SARS-CoV-2 viene definito apertamente un’arma biologica dell’esercito cinese.
Markson sembra meravigliarsi del fatto che a poche settimane dal riconoscimento della trasmissione da uomo a uomo del Coronavirus, Zhou presentasse già domanda di brevetto per il suo vaccino. Questo però non significa molto, perché il brevetto non è la verifica dell’effettiva efficacia di un farmaco.
Non risulta esserci qualche notizia sconvolgente in un brevetto depositato in quel periodo. In realtà, è sufficiente conoscere l’antigene per cominciare a studiare dei vaccini e i primi studi cominciavano ad arrivare nelle redazioni delle riviste scientifiche proprio a febbraio. Vi ricordate il vaccino-cerotto PittCoVacc? Era una delle prime volte che sentivamo parlare di un potenziale vaccino anti-Covid. L’accettazione del paper sul primo studio pre-clinico della sua efficacia venne accettato per la revisione dalla rivista EBioMecidine il 16 marzo 2020. Si basa sui brevetti depositati anni prima dell’emergere del nuovo Coronavirus, perché spesso si tratta di aggiornare e adattare per nuovi patogeni tecniche e tecnologie già note.
«Questa è una “non notizia” – spiega il virologo Roberto Burioni su Twitter – Sicuramente il giorno dopo la definizione della sequenza della proteina spike del virus qualcuno ha depositato un brevetto, altri lo hanno fatto dopo la pubblicazione. Il che non significa niente. Le cose da chiarire (non poche) sono altre».
Stiamo parlando comunque di un brevetto cinese, ma come stava proseguendo la ricerca altrove? Ricordiamo che il capo laboratorio di Gamaleya, Vladimir Gouschin, dichiarò a Report che il prototipo dell’adenovirus per Sputnik V era già pronto a febbraio 2020 e che vennero vaccinati i dipendenti della società già a marzo 2020. Ricordiamo, soprattutto, le notizie circolate il 7 febbraio in Italia sul «vaccino italiano» di Pomezia: «Il vaccino è attualmente in produzione nel Clinical Biomanufacturing Facility dell’Università di Oxford e sarà presto trasferito nei laboratori di via Pontina, a Pomezia: è qui che saranno prodotte le prime mille dosi del vaccino stesso da utilizzare per i test clinici» recitava Latinaoggi.
Insomma, mentre uno scienziato militare presentava un brevetto riguardo un prodotto ancora ipotetico, nel Regno Unito (per quello che poi conosceremo come AstraZeneca) e in Russia (con Sputnik V) stavano già “producendo” il vaccino. Non si scrivono libri su di loro, perché la situazione era nota a livello scientifico e per niente sensazionale dal punto di vista delle tempistiche.
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