Terapia domiciliare per la Covid-19: la bufala della «Tachipirina e vigile attesa» e la ricerca di una cura (che ancora non c’è)
«Tachipirina e vigile attesa» è lo slogan più volte ripetuto da coloro che accusano i medici e le istituzioni sanitarie di non voler curare i malati Covid-19 a domicilio. Quale sarebbe lo scopo di tale abbandono? Ottenere nuovi pazienti da ospedalizzare quando ormai è troppo tardi, gonfiando i numeri dei posti letto negli ospedale e della stessa pandemia. Insomma, un complotto orchestrato con la complicità di Big Pharma per vendere i vaccini, considerati più costosi di alcuni medicinali che vengono ritenuti miracolosi contro la malattia. Questa è un’estrema sintesi sulla base di alcuni dei punti cardine delle tante credenze diffuse online a partire dai primi mesi della pandemia.
Domenica 6 giugno 2021, in Piazza Duomo a Milano, si è tenuta una manifestazione organizzata dal Comitato Cura Domiciliare Covid-19, un gruppo di medici che opera sui social da mesi proponendo di «curare» i pazienti positivi al Sars-Cov-2 negando il protocollo previsto dal Ministero della Salute. «È la vigile attesa, è la più crudele delle soste che si può fare», viene dichiarato pubblicamente sul palco da uno dei medici protagonisti dell’evento, il Dott. Salvatore Totaro di Messina, affermazioni che consentono alle persone di farsi un’idea sbagliata del protocollo.
La falsa narrativa della «tachipirina e vigile attesa»
«Per salvare i suoi pazienti, il Medico di Medicina Generale, Clinico Internista e Cardiologo di Messina ha dovuto rompere gli schemi e resistere all’indicazione che stabiliva “tachipirina e vigile attesa”» riporta un articolo di RadioRadio dove viene intervistato lo stesso Salvatore Totaro. Il “mantra” si ripete, ma di fatto non si può parlare di «tachipirina e vigile attesa» perché è una bufala!
Bisogna innanzitutto chiarire che la vigile attesa non significa abbandonare il paziente al suo destino senza far nulla, ma significa monitorare costantemente i suoi parametri e valutare la somministrazione di alcuni farmaci raccomandati non solo dal Ministero della Salute, ma anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Nel portale di FNOMCeO, la Federazione Nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, è presente e consultabile pubblicamente la circolare del Ministero della Salute di dicembre 2020 con le linee guida per la gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-Cov-2, dove è facile constatare la narrativa della «tachipirina e vigile attesa» non è affatto corretta. Ecco l’elenco completo delle indicazioni per la gestione clinica dei pazienti asintomatici o paucisintomatici:
- vigile attesa;
- misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno tramite pulsossimetria;
- trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo);
- appropriate idratazione e nutrizione;
- non modificare terapie croniche in atto per altre patologie (es. terapie antiipertensive, ipolipemizzanti, anticoagulanti o antiaggreganti), in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni preesistenti;
- i soggetti in trattamento immunosoppressivo cronico in ragione di un precedente trapianto di organo solido piuttosto che per malattie a patogenesi immunomediata, potranno proseguire il trattamento farmacologico in corso a meno di diversa indicazione da parte dello specialista curante;
- non utilizzare routinariamente corticosteroidi;
- l’uso dei corticosteroidi è raccomandato nei soggetti con malattia COVID-19 grave che necessitano di supplementazione di ossigeno. L’impiego di tali farmaci a domicilio può essere considerato solo in quei pazienti il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore, in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia;
- non utilizzare eparina. L’uso di tale farmaco è indicato solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto;
- non utilizzare antibiotici. Il loro eventuale uso è da riservare solo in presenza di sintomatologia febbrile persistente per oltre 72 ore o ogni qualvolta in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica, o, infine, quando l’infezione batterica è dimostrata da un esame microbiologico;
- non utilizzare idrossiclorochina la cui efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici controllati fino ad ora condotti;
- non somministrare farmaci mediante aerosol se in isolamento con altri conviventi per il rischio di diffusione del virus nell’ambiente.
Un elenco dettagliato dove troviamo anche la presenza di alcuni farmaci, tra i quali le eparine e gli antibiotici (qui l’elenco di quelli raccomandati), da utilizzare o meno in determinate situazioni che, di fatto, non possono essere verificate se non con un continuo monitoraggio della situazione del paziente.
La falsa narrativa delle autopsie vietate e la trombosi
Sempre dal palco, il Dott. Salvatore Totaro riporta alla luce una delle narrative diffuse fin da inizio pandemia, quella del fantomatico divieto delle autopsie sui pazienti: «Ognuno sa che per capire una malattia, e il danno che produce in un paziente quando questo purtroppo lascia la propria vita e decede, naturalmente si fa necessariamente un’autopsia. Ma chi è stato questo infame che ha tolto questa possibilità?».
Di fatto, nessuno aveva tolto la possibilità di effettuare le autopsie sui pazienti. La narrativa del divieto era stata diffusa da diversi personaggi, come il giornalista Cesare Sacchetti, attraverso false affermazioni su un documento diffuso dal Ministero della Salute: bastava leggerlo per scoprire che si potevano fare, purché venisse garantita la sicurezza degli operatori. Ecco le condizioni riportate nella circolare n. 15280 del 2 maggio 2020 «Oggetto: Indicazioni emergenziali connesse ad epidemia COVID-19 riguardanti il settore funebre, cimiteriale e di cremazione»:
3- In caso di esecuzione di esame autoptico o riscontro diagnostico, oltre ad una attenta valutazione preventiva dei rischi e dei vantaggi connessi a tale procedura, devono essere adottate tutte le precauzioni seguite durante l’assistenza del malato. Le autopsie e i riscontri possono essere effettuate solo in quelle sale settorie che garantiscano condizioni di massima sicurezza e protezione infettivologica per operatori ed ambienti di lavoro: sale BSL3, ovvero con adeguato sistema di aerazione, cioè un sistema con minimo di 6 e un massimo di 12 ricambi aria per ora, pressione negativa rispetto alle aree adiacenti, e fuoriuscita di aria direttamente all’esterno della struttura stessa o attraverso filtri HEPA, se l’aria ricircola. Oltre agli indumenti protettivi e all’impiego dei DPI, l’anatomo patologo e tutto il personale presente in sala autoptica indosseranno un doppio paio di guanti in lattice, con interposto un paio di guanti antitaglio.
Secondo Totaro, ci sarebbero stati dei grandi uomini che avrebbero svolto delle autopsie «in segreto» permettendoci di scoprire cosa causava il virus, ossia le tanto citate trombosi. Le autopsie venivano fatte e i risultati venivano pubblicati e raccontati online dai siti specializzati, come possiamo notare in un articolo del 9 aprile 2020 del magazine della Fondazione Umberto Veronesi:
In tre mesi di esperienza, è diventato chiaro che avere un’insufficienza renale, essere dializzati o trapiantati di rene vuol dire convivere con un rischio più alto che la malattia evolva verso le forme più gravi. Ma in realtà il Coronavirus sembra in grado di intaccare anche quei reni che erano in buona salute, fino a prima del contagio. «Nelle autopsie finora condotte, si è visto che un terzo dei pazienti è deceduto a causa di un’insufficienza renale acuta – afferma Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale (Simg) -. Sappiamo che l’infezione determina un aumento della microcoagulazione del sangue in diversi organi. Alcune persone potrebbero essere morte perché i reni si sono bloccati proprio a causa di questo evento. Non è un caso che l’Agenzia Italiana del Farmaco abbia dato l’ok all’uso dell’enoxaparina, un farmaco usato da tempo per la cura di diverse malattie vascolari che tendono a formare trombi ed emboli»
La narrativa dell’eparina
«Dov’è l’eparina?», domanda ancora il medico dal palco, ma di questo medicinale se ne parla da anni per questo tipo di malattie come spiegato in un articolo, dal titolo «COVID-19 e trombosi: facciamo chiarezza», pubblicato il 21 aprile nel sito del Gruppo Humanitas:
Spiega il dottor Lodigiani: “La correlazione tra malattie di tipo infiammatorie, come per esempio le polmoniti e la trombosi in generale (soprattutto venosa), è nota da decenni; si pensi che un paziente con una qualunque polmonite batterica o virale, quindi non necessariamente da SARS-CoV-2, viene abitualmente sottoposto a profilassi tromboembolica con eparina a basso peso molecolare, in quanto esiste una forte raccomandazione in tutte le linee guida internazionali, allo scopo di ridurre o eliminare il rischio di insorgenza di tromboembolismo venoso, ovvero trombosi venosa profonda. Si tratta della formazione di trombi nel sangue delle nostre vene che in alcuni casi possono provocare l’embolia polmonare, un evento potenzialmente fatale. La profilassi tromboembolica si effettua in genere mediante l’utilizzo di eparina a basso peso molecolare e tale raccomandazione è il frutto di uno studio scientifico pubblicato nel lontano 1999”.
Quando si manifesta il problema? Nell’articolo del Gruppo Humanitas, il professor Maurizio Cecconi (Direttore del Dipartimento Anestesia e Terapie intensive) spiega che «i pazienti con malattie infettive o settiche gravi presentano uno stato di potente infiammazione che attivando il sistema della coagulazione induce uno stato di ipercoagulabilità e li espone quindi a un alto rischio di trombosi». Nei documenti pubblicati da AIFA da inizio 2020, in merito ai farmaci utilizzabili per i pazienti Covid19, l’eparina è ben presente con le seguenti indicazioni:
Per quali pazienti sono raccomandabili?
L’uso delle eparine a basso peso molecolare nella profilassi degli eventi tromboembolici nel paziente medico con infezione respiratoria acuta allettato o con ridotta mobilità è raccomandato dalle principali LG in assenza di controindicazioni. Ciò si applica, in presenza delle caratteristiche suddette, sia ai pazienti ricoverati, sia ai pazienti gestiti a domicilio o nell’ambito di case di riposo o RSA utilizzando le dosi profilattiche.
L’idrossiclorochina
Un altro farmaco osannato dal palco da parte dei protagonisti della manifestazione è l’idrossiclorochina, ritenuta adatta contro la Covid19. Sul palco, e spesso online, viene citato l’Istituto Mario Negri a sostegno delle terapie domiciliari, ma in una sezione del sito istituzionale – aggiornata il 19 maggio 2021 – tale farmaco viene letteralmente stroncato: «I dati finora pubblicati su alcune medicine oggetto di sperimentazione (lopinavir/ritonavir, clorochina e idrossiclorochina) non documentano una loro efficacia, mentre al contrario a tutt’oggi ci sono prove scientifiche solide e conclusive solo sull’efficacia del trattamento con cortisonici nei pazienti che hanno forme gravi di Covid-19 (per esempio polmonite che richiede un supporto alla respirazione)».
La narrativa delle percentuali di pazienti «curati»
Da parte di alcuni medici viene promossa la narrativa che percentuali vicine o pari al 100% dei propri pazienti non è stata ospedalizzata o non è deceduta a seguito della malattia, numeri che, in realtà, vanno quasi in parallelo a quelli ufficiali a livello nazionale. In merito agli ospedalizzati, nel sito dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali possiamo consultare le percentuali del rapporto pazienti ospedalizzati e totale positivi per ogni Regione (incluse le Province autonome) con la media nazionale: il 3% dei positivi.
Ci sono Regioni, come il Friuli Venezia Giulia, dove non si arriva neanche all’uno per cento dei positivi ospedalizzati, mentre il primato negativo viene tenuto saldo da Liguria e Piemonte. Nel sito dell’Agenzia viene chiarito che «i dati non tengono conto delle differenze nella composizione della popolazione (per sesso, età, fattori di rischio) o per gravità di sintomi e condizioni cliniche, che possono determinare una diversa propensione alla ospedalizzazione e/o ricovero in terapia intensiva».
In data 7 giugno 2021, secondo il bollettino giornaliero, risultano attualmente 188.453 totali positivi dei quali appena 4.910 sono ricoverati con sintomi, una percentuale al di sotto del 3%. Quanti positivi si trovano a casa? Circa il 96% dei pazienti si trovano in isolamento domiciliare, come nella norma.
Ad oggi non c’è una cura, neanche dal Mario Negri
Quanto avrebbero influito le attività di alcuni medici che hanno fornito ai pazienti l’idrossiclorochina o altri farmaci ritenuti utili contro la Covid? Per provarlo bisognava impiantare studi in doppio cieco randomizzati, ma soprattutto non bisogna confondere il concetto della prova scientifica con le esperienze personali. Viste le percentuali di guarigione, un paziente in isolamento domiciliare potrebbe sostenere di essersi curato con un prodotto omeopatico fornendo ad esso una presunta efficacia senza evidenze scientifiche.
Ad oggi non c’è una cura attraverso un cocktail di farmaci, ma ci sono dei farmaci che possono aiutare nell’evitare complicanze dovute alla Covid19 e sono quelli citati dalle istituzioni sanitarie che, ripetiamolo, non hanno prescritto «tachipirina e vigile attesa».
C’è chi, come il Dottor Giuseppe Remuzzi del Mario Negri di Milano, ha effettuato uno studio clinico al fine di valutare un algoritmo per il trattamento domiciliare per prevenire l’ospedalizzazione. Lo studio, che risultava essere un preprint in attesa di peer review e pubblicato il 9 giugno da EClinicalMedicine, viene considerato già come la prova di una «cura». C’è da dire che lo studio non è conclusivo e risulta basato su 90 pazienti dove l’algoritmo non riduce «in modo apprezzabile» la durata della malattia, ma soprattutto – come ammesso dagli autori – non si possono escludere situazioni di casualità.
Alcuni sostenitori della manifestazione in Piazza Duomo a Milano ritengono che la cura esista, citando le attività svolte dal Movimento Ippocrate. Ecco cosa riporta il sito del Movimento, Ippocrateorg.org, nella sezione Approccio alla terapia e Liberatoria alla voce Come si affronta il Covid-19: «Il Covid-19 è una malattia complessa per la quale non è ancora stata identificata una cura specifica».
Le restrizioni erano inutili?
Numeri che spiegano come la Covid19 si risolve per la maggior parte dei casi affrontando sintomi che non necessitano di un ricovero ospedaliero. Di fronte a tali informazioni qualcuno potrebbe domandarsi come mai abbiamo dovuto vivere un lockdown e mettere in campo diverse restrizioni. Questi interventi sono stati attuati al fine di non diffondere ulteriormente il virus evitando di fare pressione sulle strutture sanitarie, così come per contenere al massimo i decessi che, ad oggi, risultano essere oltre 124 mila totali da inizio pandemia, aumentando di fatto il numero di decessi annuali rispetto agli anni precedenti.
Conclusioni
Il tema dei farmaci per contrastare la Covid19 è stato per molto tempo un tema più politico che scientifico. Quest’ultimo si basa sulle evidenze, non sull’esperienza personale e la propaganda, ed è grazie agli studi scientifici che possiamo conoscere gli effetti e gli eventuali rischi di un farmaco ipotizzato come utile contro il virus.
La gestione dei pazienti che non necessitano di ospedalizzazione prevede un monitoraggio e l’utilizzo di determinati medicinali, utili ad affrontare eventuali complicanze e tenere a bada alcuni dei sintomi, ma ad oggi non esiste una cura contro la Covid19.
Risulta estremamente logico che se avessimo una cura certa contro la malattia avremmo risolto molti dei problemi che stiamo affrontando da inizio pandemia. Per concludere, è bene ricordare che non risulta esserci alcun complotto così come una fantomatica «dittatura sanitaria» che ci impone dei «vaccini assassini».
Immagine di copertina: Pixabay.
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