Caso Eni-Nigeria, secondo i pm Armanna «inquinava le indagini». In una telefonata la richiesta di 50 mila dollari
Emergono nuovi dettagli sul caso Eni-Nigeria. Non dal tribunale di Milano, che ha in mano il filone principale del processo per la presunta corruzione delle autorità nigeriane da parte di Shell, Eni e l’ad dell’azienda, ma dalla procura di Brescia, che indaga sul lavoro svolto dai colleghi milanesi. Il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro sono accusati di rifiuto di atti d’ufficio per non aver depositato materiale probatorio nel processo. Tra quei documenti, ci sarebbero anche alcune email, inviate dal pm Paolo Storari ai vertici dell’ufficio, nelle quali il magistrato faceva notare la inattendibilità dell’ex manager Eni Vincenzo Armanna. Il pm, interrogato dalla procura bresciana lo scorso maggio, ha confermato che, secondo lui, sentire l’ex dirigente sarebbe stato controproducente per il caso Eni-Nigeria. Tra le carte dell’inchiesta portata avanti a Brescia, poi, spunta un messaggio inviato da Armanna a Isaak Eke, alto dirigente delle forze di polizia nigeriane in pensione: l’ex manager di Eni gli chiedeva di restituirgli 50 mila dollari, versatigli per confermare le accuse che Armanna ha mosso ai danni di Eni sul caso del blocco petrolifero Opl245. Il messaggio rientra nei documenti non depositati alle parti processuali dai due pm, pur avendoli ricevuti dal collega Paolo Storari.
Tra le novità, si è scoperto anche che gli stessi pm De Pasquale e Spadaro, lo scorso 5 marzo, hanno firmato e inviato al procuratore capo di Milano Francesco Greco una valutazione critica sul materiale probatorio che riguardava Armanna. Nello specifico, i due giudici titolari del fascicolo Eni-Nigeria, indagati per rifiuto di atti d’ufficio, avevano contestato la «legittimità procedurale» nelle acquisizioni delle chat dell’ex dirigente Eni da parte del pm Storari.
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