Rapporto rischi-benefici e trombosi, ecco cosa dobbiamo sapere sul vaccino AstraZeneca e perché non andava dato agli under 30
Il destino di AstraZeneca, il vaccino anti Covid19 creato in collaborazione con l’Università di Oxford, è strettamente legato al clima di insicurezza che si è andato a creare con i presunti casi di trombosi derivati dallo stesso prodotto così come dagli altri basati sull’uso degli adenovirus (Johnson & Johnson e Sputnik V). Per trovare un nesso causale, come abbiamo spiegato insieme allo scienziato Enrico Bucci in un precedente articolo, è probabile che ci vorranno parecchi anni soprattutto perché i casi risultano estremamente rari di fronte a milioni di somministrazioni. Non solo, c’è da considerare la possibilità che questi eventi siano compatibili con quelli comunemente riscontrati in passato nella popolazione anche senza il vaccino.
Al momento l’unico dato al quale ci possiamo affidare viene fornito dalla farmacovigilanza, con i suoi pro e i suoi contro. Come abbiamo spiegato a Open (ad esempio qui, qui e qui), le segnalazioni di presunte reazioni avverse da vaccino, così come per qualunque farmaco in commercio, possono essere di tipo volontario e addirittura anonimo. In Italia è possibile, attraverso un apposito portale online, segnalare una presunta reazione avversa per qualsiasi prodotto farmaceutico. Così avviene nel Regno Unito con il portale Yellow card e negli Usa con il VAERS gestito dal Centers for Disease Control and Prevention. Proprio quest’ultimo è stato oggetto di critiche negli Stati Uniti, dove sono state inviate svariate segnalazioni che hanno dato sostegno alla disinformazione sui vaccini anti Covid19, come la bufala della bambina di 2 anni deceduta dopo il vaccino Pfizer.
I dati del Regno Unito
Nel Regno Unito hanno puntato, giocando in casa, soprattutto sul vaccino di AstraZeneca. Secondo quanto riportato nel report settimanale sulle segnalazioni raccolte dal portale Yellow Card, il numero stimato delle prime dosi del vaccino somministrate sarebbe di 24,5 milioni, 15,7 milioni le seconde dosi. Un totale di 40,2 milioni di dosi, numeri di gran lunga superiori a quelli italiani dove non raggiungiamo i 10 milioni per la sola AstraZeneca. Di fronte a queste cifre, le segnalazioni per trombosi raccolte fino al 2 giugno risultano essere 372, ossia lo 0.0009%.
Le segnalazioni di casi e decessi giunte su Yellow Card risultano essere superiori nelle fasce di età tra i 30 e i 69 anni, mentre risultano minori per quelle dai 18 ai 29 e per gli over 70. Per appena 20 segnalazioni e 3 decessi non si conosce l’età delle persone. In totale, i presunti decessi legati al vaccino per trombosi sono 66, lo 0.00016% di circa 40,2 milioni di dosi somministrate.
Il report riporta anche i dati delle segnalazioni relativi al sesso: 200 casi tra le donne contro i 169 tra gli uomini. I decessi associati, anche in questo caso, sono maggiori nelle donne con 39 eventi fatali rispetto ai 27 dei maschi. Non viene riportato un dato che tenga conto sia dell’età che del sesso, restando comunque prevalente il tasso di incidenza maggiore per il sesso femminile.
I dati italiani
In Italia sono 41 milioni le dosi di vaccino somministrate, la maggior parte sono quelle del prodotto Pfizer contro i circa 7,7 milioni di AstraZeneca in data 10 giugno 2021.
Secondo l’ultimo report sulla sorveglianza dei vaccini Covid19 dell’Aifa, relativo ai dati raccolti fino al 26 maggio, le segnalazioni di trombosi associate al vaccino AstraZeneca risulterebbero pari a 1 caso ogni 100.000 dosi somministrate durante la prima dose e in prevalenza al di sotto dei 60 anni. Non vengono riportate delle stime riguardanti le secondi dosi, ritenendo limitato il numero di queste somministrazioni per il vaccino AstraZeneca.
In merito ai decessi non abbiamo un dato aggiornato oltre a quello fornito nel report dell’Aifa, ma in questo caso dall’inizio delle somministrazioni si conterebbero appena 53 eventi fatali sul totale di tutte le tipologie di segnalazioni, non solo per trombosi. L’ultimo dato specifico risulta pubblicato nel terzo report del 15 aprile con un totale di 4 morti per trombosi su 12 totali segnalati per AstraZeneca.
Questione “rosa” e la pillola contraccettiva
I dati riscontrati sia nel Regno Unito che in Italia portano all’attenzione una presunta prevalenza dei casi di trombosi nelle giovani donne. Nel recente report dell’Aifa viene posta l’attenzione sul gran numero di segnalazioni associate agli under 60 di sesso femminile: «La differenza di genere è solo in minima parte attribuibile a una diversa esposizione ai vaccini e necessita di essere ulteriormente approfondita in relazione a eventuali fattori psico-sociali (maggiore predisposizione delle donne alla segnalazione) o biologici (diversa predisposizione alle reazioni avverse), già in parte osservati».
Visti i numeri, risulta comprensibile come mai vi siano più segnalazioni di eventi trombotici nelle giovani donne, così come è comprensibile che si tenda a fare un paragone con altri farmaci come la pillola anticoncezionale.
Secondo quanto riportato da un articolo di Quotidianosanità, in data 29 aprile nel Regno Unito i casi di coaguli per milione di dosi nelle donne risultavano di molto inferiori a quelli tra le donne che prendono la pillola anticoncezionale. In uno studio pubblicato sul British Medical Journal, sintetizzato nel sito dell’Aifa, «il tasso normale di TEV [n.d.r. tromboembolia venosa] tra le donne che non usano la contraccezione ormonale è stato del 2,1 per 10.000 donne/anno» mentre «nelle donne che utilizzavano una comune pillola contraccettiva orale [n.d.r. contenenti levonorgestrel o norgestimato] è stato registrato un tasso pari a 6,2 per 10.000 donne/anno».
Dati che porterebbero a considerare un maggiore rischio di trombosi tra chi fa uso della pillola anticoncezionale, eppure non viene rimossa dal mercato. In questa discussione entra in gioco il concetto del rapporto rischi-benefici che possiamo riprendere le conclusioni di Rossella Nappi, Professore Associato di Clinica Ostetrica e Ginecologica, riportata in un articolo della Fondazione Veronesi: «Infatti dall’ampia rivisitazione degli studi in letteratura è stato possibile affermare che i benefici apportati dal contraccettivo sono superiori al pericolo di trombosi venosa».
Detto questo, riportiamo una nota pubblicata dalla Fondazione Umberto Veronesi sulla pillola contraccettiva e vaccinazione anti Covid19:
Le donne che prendono la pillola anticoncezionale possono essere vaccinate?
Si, fatte salve le raccomandazioni del Ministero ad un uso preferenziale dei vaccini AstraZeneca e J&J dopo i 60 anni, al momento non esistono gruppi di persone ad accertato rischio aumentato di sviluppo di questi eventi avversi.
Il rapporto rischi-benefici
Fino a quando il rapporto rischi benefici risulterà di gran lunga a favore dei vaccini attualmente in uso verrà consigliato il loro uso, ma le cose possono cambiare come avvenne in passato con il vaccino contro la poliomielite. La storia ci insegna che il prodotto di Albert Sabin risultava estremamente efficace contro la malattia nonostante il suo eventuale effetto collaterale, ossia una possibilità su 750 mila di contrarre la malattia a seguito della sua somministrazione. Una volta rovesciato il rapporto rischi-benefici, riscontrando un maggiore rischio di ammalarsi con il vaccino piuttosto che “naturalmente”, siamo passati al vaccino di Jonas Salk che conteneva un virus inattivato.
Dovessimo considerare il tema del rapporto rischi-benefici è bene farlo con un paragone quantomeno corretto: da una parte un caso di trombosi grave a seguito del vaccino AstraZeneca, dall’altra la Covid19? Lo scorso 6 maggio, l’Università di Cambridge pubblica un report sui casi di trombosi associati al vaccino attraverso i dati a disposizione, fornendo un quadro dei rischi e dei benefici in base all’età dei cittadini britannici. Sono tre le tabelle riassuntive, dove ognuna considera tre diversi scenari in base al rischio contagio e i ricoveri evitati in terapia intensiva.
Considerate tutte e tre le tabelle, il bilancio dei rischi e dei benefici sostiene per la maggiore la vaccinazione anti Covid19 e risulta comprensibile che si prosegua con le somministrazioni. Quale è la situazione in Italia? I ricercatori dell’università britannica non si sono soffermati ai dati in casa, hanno persino fornito un report simile sui dati italiani che conferma il dato: meglio il vaccino che la malattia.
Di fronte a una minore possibilità di diffusione del virus in una determinata fascia di età, risulta fondamentale considerare il fatto di optare per un prodotto meno rischioso. Il report dell’Università di Cambridge ci ha permesso di confrontare i tre diversi scenari, ma questo genere di analisi viene fatto anche dall’EMA per le proprie raccomandazioni agli stati membri dell’Unione. Quest’ultima, in un’analisi pubblicata il 23 aprile 2021, fa un passo in più mostrando tre scenari basati su altrettanti variabili: il rischio di ospedalizzazione, il rischio di ricovero in terapia intensiva e il rischio di morte.
Visto che la preoccupazione maggiore riguarda i decessi, passiamo subito al grafico relativo al rapporto tra gli eventi fatali evitati grazie al vaccino AstraZeneca e il rischio di eventi tromboembolici ad esso associati di fronte a un periodo di basso rischio contagio come quello riscontrato a settembre 2020:
Di fronte a una diminuzione consistente dei contagi, risulta estremamente evidente che nelle fasce di età aldi sotto dei 60 anni venga sconsigliata la somministrazione del vaccino Vaxzevria di AstraZeneca. Per semplice curiosità, il rapporto cambia di fronte a un medio rischio di contagio come quello riscontrato a marzo 2021:
C’è da dire che entrambi gli scenari sopra riportati consigliano di escludere la somministrazione del vaccino ai minori di 30 anni, così come anche di fronte a uno scenario di elevato rischio contagio secondo la tabella dell’EMA che tiene conto la diffusione del virus a gennaio 2021:
Insomma, se dovessimo tenere in considerazione queste tre tabelle risulta evidente che, nonostante i dati relativi al rischio trombosi siano viziati da diversi fattori e dalla mancata conferma del nesso causale, risulti sempre consigliabile la somministrazione di un vaccino diverso per gli under 30.
Conclusioni
Le segnalazioni ottenute tramite la farmacovigilanza dei diversi Paesi potrebbero essere viziati da falsi o da una prevalenza alla segnalazione da una parte della popolazione rispetto a un’altra, ma sono tutti eventi dove non viene verificato un nesso certo dalle stesse autorità.
Non abbiamo, ancora oggi, una spiegazione valida che confermi o smentisca definitivamente un nesso causale tra il prodotto anglo-svedese e i casi di trombosi. Sia per l’Italia sia per il Regno Unito, risulta evidente che ci troviamo di fronte a eventi estremamente rari che potrebbero far parte della normale casistica annuale.
Enti come l’EMA tengono conto dei dati forniti dalla farmacovigilanza e valutano in ogni caso il rapporto rischi-benefici. Secondo le analisi dell’ente europeo, il rischio legato a un eventuale e presunto evento tromboembolico da vaccino AstraZeneca risulta maggiore, ma soprattutto costante nei diversi scenari, rispetto ai benefici forniti dallo stesso prodotto nella fascia di età sotto i 30 anni.
L’EMA non è un’organo politico, consigliando invece ai Governi e alle autorità competenti nazionali eventuali misure da porre durante la somministrazione dei vaccini anti Covid19. Bisogna considerare ulteriori variabili extra nello scenario generale, ossia quelle politiche, emotive e psicologiche che possono coinvolgere le decisioni dei Governi e degli enti nazionali.
A seguito degli eventi tromboembolici, seppur estremamente rari e non confermati, Paesi come la Germania hanno scelto di non somministrare AstraZeneca agli under 60 mentre il Regno Unito ha preferito fornirlo agli over 30 escludendo i più giovani. Anche l’Italia ha preso la sua decisione, quella della somministrazione del vaccino AstraZeneca agli over 60 escludendo tutti i giovani di ogni sesso ed età.
La decisione italiana risulta correlata ai recenti fatti di cronaca, soprattutto quello relativo al caso della giovane Camilla deceduta a Genova a seguito della vaccinazione. La scoperta di una patologia di cui soffriva la ragazza potrebbe aver cambiato lo scenario relativo al suo decesso in rapporto alla somministrazione del vaccino, ma resta un fatto: considerando le analisi dell’EMA, e vista la necessità di mantenere un clima favorevole alle vaccinazioni per riuscire a mettere fine a questa pandemia Covid19 senza ulteriori ostacoli, forse era meglio evitare in ogni caso la somministrazione ai minori di 30 anni (almeno dal 23 aprile 2021).