I servizi deviati hanno voluto gli scontri al G8 di Genova 2001? No (O almeno le prove non sono in un libro appena uscito)
La ricorrenza del ventennale del G8 di Genova 2001, quello rimasto nella memoria soprattutto per le violenze di piazza e la morte di un manifestante, Carlo Giuliani, ha portato con se una scia di nuove pubblicazioni di ogni genere, in particolare in libreria. E, tra i libri usciti, quello che per il momento si è fatto notare di più è dell’ex agente Digos Gianluca Prestigiacomo, uscito per Chiarelettere: G8 Genova 2001, storia di un disastro annunciato. Prestigiacomo, da diretto protagonista, ripercorre le giornate genovesi e aggiunge un particolare apparentemente ignoto fino ad oggi. Era il 20 luglio 2001, secondo giorno delle proteste contro le otto potenze mondiali che si erano riunite a Genova per il loro meeting annuale. Da giorni si parlava dei rischi di scontri violenti: da un lato, per la presenza di numerose formazioni di quelli che allora si chiamavano black bloc, gruppi noti per fare della distruzione di luoghi e oggetti la loro forma di espressione politica. Dall’altro lato, la preoccupazione riguardava le organizzazioni che avevano annunciato di essere decise a entrare nella zona della città destinata al vertice, allora detta zona rossa, per dare visibilità alla protesta contro lo stesso G8 e il ruolo che i vertici tra grandi potenze avevano in quegli anni.
E’ in questo clima che si inserisce il racconto di Prestigiacomo. L’ex agente della Digos partecipava alla manifestazione principale del 20 luglio, quella partita dallo stadio Carlini e che riuniva centri sociali e Giovani comunisti (l’organizzazione giovanile di Rifondazione comunista) e annunciava di voler violare la zona rossa con forme di “resistenza passiva e azione non violenta”. In preparazione di questa invasione, la testa del corteo era formata da una testuggine: i manifestanti erano bardati con protezioni di gommapiuma e scudi di plexiglass. Era indubbiamente il corteo più atteso della giornata sia per il numero di partecipanti sia per l’annunciata azione simbolica contro la zona rossa. Era anche la manifestazione al termine della quale morì un manifestante, Carlo Giuliani, ucciso dal colpo sparato da un giovane carabiniere, Mario Placanica, durante scontri che si erano fatti via via sempre più violenti.
Il poliziotto racconta che assieme ad altri agenti della Digos di Venezia seguiva il corteo in borghese è che, proprio per evitare tensioni, alla testa della manifestazione non c’era alcun plotone in assetto antisommossa. Secondo la ricostruzione di Prestigiacomo, mentre la città era già stata data alle fiamme, alcuni personaggi dall’ atteggiamento poco chiaro si avvicinarono agli agenti della Digos intimando loro di allontanarsi perché “il loro compito era finito”, facendo in qualche modo capire che un ordine superiore era stato dato da qualche entità dello Stato e che la Polizia doveva adeguarsi. Il particolare è talmente significativo che è finito in tutte le anticipazioni pubblicate da alcune testate italiane in questi giorni.
Il Secolo XIX ad esempio, il 27 maggio scorso, titola: “Andate via subito il compito è terminato” così iniziò il disastro di Genova.
Ed ecco il brano significativo:
A un certo punto si avvicinarono a noi alcuni individui. visto che dovevamo andarcene. Non capivamo chi fossero e col caldo, l’aria ormai intrisa dell’odore acre dei lacrimogeni e le esplosioni continue dei serbatoi di auto in sosta, i segnali gli schemi stavano saltando c’erano tutti. Mi ricordo ancora il tipo che si avvicinò a me: aveva un paio di ray-ban e assomigliava ad Antonello Venditti. Un altro aveva una telecamera digitale e stava riprendendo la scena. Cercavo di ignorarli, Ma erano pressanti: “Dovete andar bene il vostro compito è terminato “.
Il corteo continuava la marcia. Quegli uomini non potevano essere delle tute bianche e non sembravano nemmeno Black Block. “Chi siete?”, chiesi al tipo con la telecamera. La risposta fu perentoria e ci costrinse a fermarci: “Siamo del servizio d’ordine dei centri sociali di Roma “. Anche l’ultimo arrivato in ufficio avrebbe stentato a credere a una buffonata del genere. “Ma di cosa parli, pensi che siamo scemi?”. Ci sbarrano la strada. Impugnavano mazze. Capii al volo che la situazione era fuori controllo. Il gruppo di contatto con il corteo era ancora troppo distante. Le linee telefoniche erano saltate, cadevano in continuazione. “Andate via, vi conviene”. Non avevamo scelta. Da una parte loro, dall’altra i Black bloc. Il mio collega, stretto dalla paura mi chiese di andarsene. Ci voltammo. Il corteo era ancora distante, dovevamo proteggerlo ma non eravamo più nelle condizioni di tornare indietro. Un altro schema un altro tassello che saltò. Fu l’inizio del disastro. Chi erano le persone che ci mandano via? È questa la domanda che da quel giorno continua a pormi senza trovare risposta. Di fatto non restava altro che metterci in sicurezza, non avevamo scelta. Resto convinto che in quel momento non si potesse fare diversamente: attraversare il blocco nero fu l’alternativa indolore, in senso fisico. Proprio pochi minuti dopo partì la carica dei Carabinieri. Se fossimo rimasti alla testa del corteo, ne sono certo, nessuno avrebbe caricato travolgendoci. Il fatto che ci avessero mandati via non era una casualità. Un motivo doveva esserci. Lo si può anche intuire facilmente. E tutto oggi credo sia stato proprio quello il momento decisivo del disastro. Ovvero, l’inizio di tutto. Se non ci fossimo mossi dalla testa del corteo tante cose non sarebbero accadute, ma nessuno avrebbe mai potuto ipotizzare che sarebbe partita una carica. Non era prevista. Non era previsto nulla di tutto quello che accadde. Perciò, decidemmo di allontanarci per metterci in sicurezza. Diversamente, se avessimo avuto anche il minimo dubbio che la nostra presenza avrebbe scongiurato il peggio, saremmo rimasti, anche a costo di mettere a rischio la nostra incolumità”.
Stesso schema, con poche variazioni su Il Gazzettino. E poi un’anticipazione su Radio Popolare e alcuni altri giornali. Il punto però è che l’ex agente della Digos Prestigiacomo parla di una scena ampiamente riportata negli atti del processo ai manifestanti per gli scontri di piazza. E che il tribunale di Genova, ormai parecchi anni fa, ha ricostruito come le persone, che “anche l’ultimo arrivato in ufficio avrebbe stentato a credere” dei centri sociali, erano, guarda un po’, proprio dei centri sociali.
Agli atti del processo è stato messo anche il video realizzato dalla “persona con telecamera digitale” che lo avrebbe allontanato. Le immagini sono molto chiare: il filmmaker avvicina gli agenti in borghese e gli fa qualche domanda per capire chi siano. E il gruppo di poliziotti si allontana. Nel video non ci sono serbatoi che scoppiano e nessuno si copre il viso per i lacrimogeni, né i poliziotti vengono minacciati con delle mazze. Piuttosto, davanti alle domande dell’uomo con la telecamera i poliziotti si sentono evidentemente scoperti e si dileguano.
Il filmmaker in questione, Manolo Luppichini, è stato anche ascoltato in udienza e il tribunale ha considerato talmente attendibile il suo racconto da citarlo pure al momento della sentenza finale.
RISPOSTA – Li ho notati da come erano abbigliati , dall’atteggiamento che c’avevano… erano qualcosa di estraneo al resto del corteo ed era evidente che fosse della Polizia in borghese.
DOMANDA – Per quello che ha visto lei erano infastiditi in qualche modo dagli altri partecipanti, sono stati mandati via, sono stati aggrediti o stavano marciando insieme a tutti gli altri?
RISPOSTA – Avevano seguito il corteo perché erano messi in mezzo, e io li ho semplicemente intervistati perché mi sembrava il modo più tranquillo per entrarci in contatto e smascherandoli di fatto, infatti le ho fatto alcune domande si sono sentiti un po’ smascherati e si sono allontanati molto tranquillamente.
DOMANDA – Lei ricorda se qualcuno di loro stava telefonando?
RISPOSTA – Sì, c’era un tipo al telefono con un altro riesco a scambiare qualche parola, un accento veneto però fu una cosa tranquilla…
Anche Open ha parlato con il filmmaker Luppichini che ha spiegato di essere effettivamente lui il protagonista della scena raccontata nel libro: “Il libro sembra una fiction di fantascienza – racconta – la realtà è totalmente diversa e si vede nel filmato. Non ci sono esplosioni né lacrimogeni. Questa persona parla di una scena totalmente inventata, ai miei occhi tutto il suo discorso finisce per risultare inattendibile e goffo. Si dipinge come un eroe ma l’atteggiamento è inadeguato come poliziotto, perché invece di rimanere in zona si è allontanato dalla scena. Se è vero quello che dice perché non è rimasto con la sua squadra nei pressi per garantire la sicurezza del corteo? E poi, perché parla di questa scena solo dopo vent’anni e non l’ha fatto allora? E’ solo una maldestra operazione commerciale o c’è altro dietro? Chi vuole giustificare?” .
Posto che esiste la remota ipotesi che una identica scena con identici personaggi, e sempre come un videomaker, si sia ripetuta in un altro punto del corteo, sembra chiaro che stiamo parlando degli stessi fatti. Fatti noti e citati in una sentenza di tribunale in cui si dice, tra l’altro, che i funzionari della Digos che erano in contatto con la testa del corteo, e con alcuni parlamentari presenti, a un certo punto non risposero più al telefono. Quello che è certo è che la carica da parte dei Carabinieri è stata considerata immotivata, dal medesimo tribunale, al punto che i manifestanti che reagirono anche in modo violento a quella pressione sono stati assolti perché si erano semplicemente difesi.
La cosa strana di questa vicenda è che sebbene i fatti siano noti e contenuti in una sentenza di tribunale, l’autore del libro non sembra essersi confrontato con quei documenti e nessuno dei giornali che hanno accettato di anticipare le pagine del suo saggio gli ha chiesto conto di questa strana coincidenza.
Leggi anche:
- G8 Genova 2001, promossi a vicequestori due funzionari condannati per la Scuola Diaz. È polemica
- «Il film sulla Diaz non si doveva fare. 19 anni dopo il G8 quei conflitti sono ancora aperti» – L’intervista a Daniele Vicari
- G8, il papà di Carlo Giuliani: «La morte di mio figlio è una delle più grandi ingiustizie del nostro Paese»
- Da Reclaim the streets a Fridays for future, passando per Seattle, quando prendere le strade è già politica
- Il reato di tortura, quell’eredità incompiuta del G8 di Genova – L’Intervista