Per Di Maio è finita l’epoca del ‘Vaffa’, la trasformazione finale del M5s in versione pacata: «Puntiamo a ceto medio e imprese»
Il Movimento 5 Stelle cambia leadership con Giuseppe Conte e si prepara all’ennesima metamorfosi degli ultimi anni, forse quella definitiva che lo porterà alla trasformazione in un partito più simile a quelli tradizionali. Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e ultimo capo politico fino a gennaio 2020 prima di lasciare la reggenza al supplente Vito Crimi, ha tracciato la nuova rotta con diversi ponti tagliati col passato in un’intervista a La Stampa. «Siamo cambiati senza mai rinunciare a noi stessi», ha detto. «Rappresentiamo quella parte del Paese che ha più bisogno del cambiamento, il ceto medio che paga le tasse, che non si tira mai indietro e che porta ogni giorno sulle spalle il peso della collettività. Noi parliamo a loro e lo faremo ancora a lungo». Oggi il Movimento, dice Di Maio, è un partito di «mediazioni» (ma c’è chi li chiama compromessi a ribasso, come chi ha deciso di lasciare il M5s dopo l’appoggio al governo Draghi).
Una coalizione di centro, quindi, che punta a prendersi l’elettorato di destra moderato – quelli di Forza Italia, magari-, scontento dalla vicinanza del suo partito con Lega e Fratelli d’Italia? «I cittadini vedono che il centrodestra è diventato destra e non è più in grado di combattere le loro battaglie», sottolinea. «Noi vogliamo tutelare le imprese, le professioni dimenticate, le partite Iva». Un quadro generico, certo. Soprattutto nel post-pandemia, dove la crisi del lavoro attraversa tutte le professioni indistintamente. E che per imporsi deve trovare il modo di parlare a tutti, anche attraverso il vecchio metodo delle diverse anime interne: una che guarda alle imprese del Nord, e una che resta concentrata sul Sud. «Il Movimento ha sempre parlato a tutti», dice Di Maio. «Durante la campagna elettorale del 2018 sono stato più al Nord che al Sud. Ovviamente io vengo dal Sud e mi batto per fare crescere una terra dimenticata da sempre. Se trascuriamo il Sud d’Italia – o meglio, i Sud d’Italia – non ripartiremo mai».
Immagine di copertina: ANSA / CIRO FUSCO
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