Carcere per i giornalisti, la Consulta fa cadere l’obbligo: «Incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa»
«Incostituzionale». Così la Consulta ha bollato l’articolo 13 della legge sulla stampa. Sulla base di questo articolo, in caso di condanna di un giornalista per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, scatta obbligatoriamente la reclusione da uno a sei anni, oltre che il pagamento di una multa. La legge in questione è la numero 47 e la sua approvazione risale al 1948. Come riportato in Gazzetta ufficiale, così recita il testo dell’articolo 13, inerente le pene per la diffamazione.
Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire centomila.
È stato invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, terzo comma, del codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa. Quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità.
Fnsi: «Una sentenza storica»
«La sentenza della Corte Costituzionale ha una portata storica», così in una nota, Raffaele Lorusso, segretario generale della Federazione nazionale della Stampa italiana, e Claudio Silvestri, segretario del Sindacato unitario giornalisti della Campania. «A questo punto diventa però fondamentale l’intervento del Parlamento, chiamato a mettere a punto una normativa di riordino, compito al quale, fino ad oggi, si è sempre sottratto, obbligando la Consulta a intervenire – si legge ancora nella nota -. È una vittoria del sindacato dei giornalisti, i cui legali hanno sollevato l’eccezione di incostituzionalità dinanzi al Tribunale di Salerno. Il lavoro deve continuare per far sì che l’intera materia venga regolata dal Parlamento trovando il giusto bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della sfera individuale di ciascun cittadino».
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