Dal caso Ungheria allo scontro su Putin: il Consiglio europeo ha messo a nudo tensioni e debolezze di una Ue sempre più divisa
Doveva essere un Consiglio europeo tranquillo, quasi una formalità in cui farsi i complimenti, sottoscrivere dichiarazioni già concordate nelle scorse settimane, e salutarsi con un arrivederci a dopo l’estate. Invece, quella tra giovedì e venerdì stata la notte dello scontro con il premier ungherese Viktor Orbán e la sua legge anti-Lgbtq+, e delle tensioni che hanno coinvolto la Cancelliera tedesca Angela Merkel sulla proposta di un vertice europeo con il presidente russo Vladimir Putin. Con questo ultimo summit prima della pausa estiva le spaccature dell’Unione europea sono uscite allo scoperto, e con esse la determinazione dei leader a restare fermi sulle proprie posizioni. L’agenda del vertice ha spaziato dal dossier immigrazione alle relazioni con la Turchia, passando per il Covid-19 e le regole di viaggio dell’Ue, ma i dibattiti più accesi si sono concentrati sulla deriva dell’Ungheria verso «l’illiberalismo» e sulle relazioni di Bruxelles con la Russia.
Ancora prima della riunione i leader si sono preparati all’assedio a Orbán. I leader di tutti gli Stati membri – con due sole eccezioni – hanno condannato il governo ungherese per una nuova legge che vieta la pubblicazione di materiale Lgbtq+ nelle scuole e nei media destinati ai minori. Secondo l’Ue la legge è da condannare perché equipara l’omosessualità alla pedofilia, Orbán respinge le accuse affermando che serve solo a difendere le famiglie e non va contro nessuno. Sono volate parole grosse. «Orbán è uno spudorato, dobbiamo metterlo in ginocchio», ha detto Il premier olandese Mark Rutte, aggiungendo che l’Ungheria deve abrogare quella legge o lasciare l’Unione. «Se Budapest non fa marcia indietro, qui non c’è più posto». Della stessa idea tutti gli altri leader, tranne quelli di Polonia e Slovenia. La discussione ha segnato il culmine di anni di frustrazione dei rapporti tra i leader europei e Orbán, che da anni apre fronti di conflitto con Bruxelles sullo stato di diritto, l’immigrazione e i il rispetto diritti fondamentali, mentre costruisce con orgoglio quella che lui stesso ha chiamato «democrazia illiberale».
Ungheria fuori dall’Ue?
A giudicare dalle parole di Rutte e gli altri leader, se Orbán non ritira la legge l’Ungheria dovrebbe uscire dall’Ue, quasi con il sottinteso che andrebbe cacciata. Tecnicamente l’Ue non può espellere nessuno, uno Stato membro può solo decidere di andarsene. Dire a Orbán «o rispetti i nostri valori o te ne vai» può causare la risposta altrettanto provocatoria «se non vi sto bene, cacciatemi». Inoltre, come ha evidenziato il premier spagnolo Pedro Sanchez «è pericoloso identificare i governi con le società. Molte persone in Ungheria difendono gli stessi valori che ho io insieme ad altri leader europei».
Contro l’Ungheria sono già in corso procedure d’infrazione che potrebbero portare alla perdita del diritto di voto nell’Ue e in futuro potrebbero essere avviate procedure per bloccare l’erogazione di fondi europei a Budapest, ma è un percorso difficile. Ci sono poche speranze che Orbán cambi tono, la Polonia ha già approvato e applicato leggi anti-Lgbtq+ anche peggiori senza che nessuno abbia aperto un fronte contro Varsavia. In realtà la speranza dei leader europei è che l’anno prossimo Orbán venga sconfitto alle urne dagli ungheresi, ma mettere in dubbio l’appartenenza all’Ue di un intero paese potrebbe sortire un effetto opposto a quello desiderato.
La variante russo-tedesca
L’unità dello schieramento anti-Orbán si è sbriciolata e in parte ribaltata quando la discussione è passata alla proposta franco-tedesca di tenere un vertice con Putin, controversa perché arrivata all’ultimo minuto come se Berlino e Parigi volessero mettere gli altri di fronte al fatto compiuto. La richiesta di Merkel e del presidente francese Emmanuel Macron ha incontrato una ferma resistenza, la discussione è andata avanti fino alle 2 di notte e si è conclusa con una sconfitta per Berlino e Parigi. A bloccare la richiesta franco-tedesca i Paesi baltici, la Polonia, la Romania e altri paesi orientali, con l’appoggio di Rutte e i nordici.
Sembra che Merkel – e Macron con lei – abbiano completamente ignorato la percezione di alcuni paesi nei confronti della Russia, ed è un segnale preoccupante vista la centralità dell’asse franco-tedesco. Per Merkel è una sconfitta (caso raro) che arriva in quello che, dopo 16 anni, potrebbe essere il suo ultimo vertice Ue come Cancelliera di un governo in carica. Merkel sostiene che l’Ue non può limitarsi a «esternalizzare» le relazioni con la Russia agli Stati Uniti mentre il presidente Joe Biden organizza incontri bilaterali. Secondo la FAZ lo schieramento vedeva 20 paesi favorevoli a un vertice con Putin – tra cui l’Italia – e 7 contrari, ma più determinati.
Il possibile compromesso sulla Russia
«Mosca non comprende le concessioni gratuite, il Cremlino capisce solo la politica di potere, ha detto il premier lettone Arturs Karins, mentre la estone Kaja Kallas si è detta sorpresa di scoprire che la questione era stata messa all’ordine del giorno. Rutte dal canto suo ha detto che non ha obiezioni se altri incontrano Putin, ma lui non prenderà parte a nessun incontro con Putin, ricordando il coinvolgimento della Russia nell’abbattimento del volo MH-17 della Malaysia Airlines partito da Amsterdam e abbattuto nei cieli del Donbas controllato dai separatisti. «Saranno sviluppati formati e condizioni per i colloqui Ue-Russia, ma non al livello dei leader di governo», ha detto Merkel ai giornalisti. «Avrei desiderato un passo più coraggioso» ha aggiunto. Invece di un vertice dei leader, l’Ue ha deciso di «esplorare i formati e le condizioni del dialogo con la Russia». Un compromesso potrebbe vedere Charles Michel e Ursula von der Leyen tenere incontri con Putin.
Durante la discussione di giovedì notte Merkel avrebbe detto ai leader dell’Europa orientale che lei non ha bisogno di un vertice europeo con il presidente russo, perché lei può parlare direttamente con Putin quando vuole. Ovviamente nessuno può impedire a Merkel e Macron di incontrare Putin, come hanno fatto ad aprile incontrando (in videoconferenza) il presidente cinese Xi Jinping, ma chiaramente è una decisione che avrebbe delle conseguenze nelle relazioni e nella fiducia tra Stati membri. I litigi durante le riunioni del Consiglio europeo non sono una novità, ma quelli di giovedì e venerdì non sono stati dei semplici disaccordi. Le divergenze sono profonde, irrisolte, spaccature che continuano a ripresentarsi sempre più gravi, lanciando un pessimo segnale sul futuro delle relazioni tra Stati membri e dell’integrazione europea.
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