Il pasticcio del Green Pass, Costa: «Una scelta politica darlo con una dose. Se necessario, lo toglieremo a chi ce l’ha già» – L’intervista
Da domani 1° luglio il Green Pass permetterà di muoversi in tutta Europa senza obblighi di quarantena e isolamento. Un traguardo più che mai atteso ma che per l’Italia si intreccia con il dibattito relativo a una possibile rimodulazione dei tempi di rilascio. Anticipata sul territorio nazionale dal 15 giugno scorso, la carta verde italiana ha finora permesso spostamenti tra Regioni, ingressi in locali e matrimoni; ora arriva l’apertura delle frontiere europee con l’ampliamento delle libertà anche per gli spostamenti oltre frontiera. Il tutto dopo 15 giorni dalla prima dose di vaccino ricevuta, al contrario di quanto raccomandato dall’Ue che invece chiede di attendere due settimane dopo la seconda dose per il rilascio del Green Pass.
La strategia italiana oggi deve fare i conti con la variante Delta. Il pericolo è che la prima iniezione di vaccino anti Covid offra una protezione troppo bassa contro la mutazione del virus che sta spaventando mezza Europa e che, secondo gli esperti, potrebbe presto diventare prevalente anche in Italia. Mentre il Ministro della Salute Roberto Speranza prende tempo e il Cts si fa attendere, dei quasi 14 milioni di immunizzati con la prima dose che hanno già scaricato molti si chiedono se dovranno rinunciare al loro diritto acquisito. La scelta politica di 15 giorni fa sembra essere davanti al concreto rischio di un dietrofront, come conferma a Open il sottosegretario alla Salute Andrea Costa.
Prima con una dose, ora forse con due. Prima in grado di garantire spostamenti sicuri, ora non più. È il pasticcio del Green Pass italiano?
«Intanto più che un pasticcio definirei la certificazione verde un traguardo importante e neanche troppo scontato. Non è facile condividere regole con tutti gli Stati membri e il ritorno alla libertà sta passando anche attraverso questa intesa comune. E’ arrivato piuttosto il momento di rendersi conto di essere di fronte a una pandemia che si evolve in maniera dinamica e in modo altrettanto dinamico dobbiamo rispondere con i nostri provvedimenti. Il quadro in cui avevamo deciso di concedere i diritti del Green Pass con la prima dose era diverso da quello attuale».
Della presenza di varianti sapevamo già, come anche delle raccomandazioni degli esperti riguardo la necessità di completare il ciclo vaccinale per essere totalmente protetti dalle mutazioni. L’Europa ha fin dall’inizio raccomandato le due dosi, noi abbiamo preferito accelerare. Una ingenuità?
«Non è ingenuità ma il tentativo della politica di mediare tra la scelta sanitaria e quella sociale. Un compito difficile a cui il governo è stato chiamato in questi mesi: da un parte i dati della pandemia dall’altra l’urgenza di un ritorno alla normalità. Dare risposte e prospettive a giugno come adesso è stata una delle priorità che la politica ha seguito assumendosi tutte le responsabilità del caso. Il quadro di oggi è differente, le varianti c’erano anche prima, certo, ma come reagisce un vaccino di fronte a una variante lo si vede monitorando i dati. La riflessione sulla seconda dose deve essere ancora definitiva, il Cts nei prossimi giorni ci dovrà dire di più. Non è stato un errore ma il tentativo di trovare una soluzione a problemi di diversa natura».
E se il Cts dovesse confermare la necessità di entrambe le dosi per il rilascio del Green Pass?
«A quel punto una delle prime riflessioni da fare sarà se tornare a riaccorciare i tempi della seconda dose per vaccini come Pfizer e Moderna che qualche tempo fa allungammo per garantire quanta più copertura possibile della popolazione».
E per quei 13 milioni di persone che hanno già scaricato il Green Pass dopo la prima iniezione? Niente discoteche o viaggi?
«La decisione a quel punto dovrà essere dettata dal buon senso e credo che tutti loro si vedranno purtroppo togliere un diritto che pensavano di avere acquisito. Un passo inevitabile, altrimenti si rischia di non essere più credibili. Ovviamente ci auguriamo che questo non accada e che i tecnici ci riconfermino il via libera al certificato anche con una sole dose. Ma è chiaro che se il parere fosse diverso i Green Pass finora erogati decadrebbero».
Con la partenza a ostacoli degli ultimi giorni, c’è chi paragona la storia del Green Pass a quella di Immuni. Prima strumenti fondamentali per la lotta al virus e poi oggetti fallimentari.
«Credo che i due piani siano decisamente differenti. E che sia ingeneroso pensare al Green Pass come a un’iniziativa partita male. I dati ci dicono che milioni di cittadini italiani hanno ricevuto in autonomia il certificato verde, una realtà per nulla scontata su cui anche io onestamente all’inizio ammetto di aver nutrito dubbi. Ma il sistema sta funzionando. Caricare su un’unica piattaforma contemporaneamente i dati di somministrazione di vaccino, di esiti di tampone e di avvenuta guarigione non è così scontato, così come il fatto che si sia creato un sistema per cui un cittadino senza dover far nulla ottenga un pass così importante. Senza contare la strada trovata per tutti coloro che non hanno particolare dimestichezza con i mezzi informatici: medici di base e farmacie sono l’esempio della flessibilità di cui si parlava all’inizio. Dunque quello che credo e mi auguro è che il sistema del Green Pass faccia la stessa fine di Immuni ma per un motivo ben più positivo e cioè la fine della pandemia.
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