La proposta di Scanzi: Bersani e Conte uniti per sconfiggere la destra. Ma i precedenti non fanno ben sperare
La galassia pentastellata dopo lo strappo di Giuseppe Conte dal «padre padrone» Grillo continua ad assumere sempre più le sembianze di una gelida nebulosa, senza però il fascino della materia spaziale. L’avvocato di Volturara Appula, dopo “l’incontro del planisfero” con il segretario dem Letta, aveva assicurato che il “suo” Movimento 5 Stelle sarebbe divenuto una «una forza di sinistra progressista». Ma “la roba” pentastellata viene tenuta stretta dal fondatore Beppe Grillo, malgrado l’ormai telenovelistico scontro a distanza tra opposizioni sui poteri del garante, comitati direttivi, promesse di incontri (rigorosamente separati) con i parlamentari, carte, statuti nuovi e vecchi, piattaforme differenziate per il voto, ruoli. Conte ha però già anticipato più volte di non voler metter da parte il proprio progetto, inizialmente sartorializzato per il M5s. Ora è riposto in qualche cassetto, ma resta a disposizione di tutti i parlamentari pronti a seguirlo in un’eventuale nuova avventura solitaria. L’ex primo ministro in questo momento rappresenta una mina vagante che – stando ai sondaggi – potrebbe portar via parlamentari e voti al M5s, così come al Partito Democratico e ad altre entità del centro-sinistra italiano.
E così ad Andrea Scanzi balza in mente l’idea di «unire Conte e Bersani in un unico soggetto politico, con due forze distinte ma alleate». «Non importa la struttura» che prenderà la creatura, dice. E ancora: «L’importante è quello di metter insieme il meglio del Pd, della società civile, il radicalismo civico, la sinistra “vera”». Dice Scanzi che «Conte e Bersani possono aggregare milioni di voti» e che questa «è l’unica strada percorribile dopo l’osceno, volgare, vagamente arteriosclerotico e sommamente suicida killeraggio politico dello PsicoBeppe a danno di Conte, ci sono milioni – milioni – di italiani che non voteranno (più) M5S neanche sotto tortura (anche perché non puoi votare un morto. Sarebbe quasi necrofilia)».
Il precedente fallimentare di Di Pietro – Occhetto
Ma nella storia della sinistra, ormai più nota per le sue scissioni che per le sue fusioni, esistono diversi precedenti storici che non fanno di certo ben sperare per la formazione di questa nuova creatura. È il 1994, dopo la svolta della Bolognina, il leader del Pds Achille Occhetto era dato in testa ai sondaggi, vinse le elezioni locali, e decise di metter in piedi una coalizione (l’Alleanza dei progressisti) pronta a fare asso piglia tutto. I risultati non furono quelli sperati. Vinse Berlusconi. Occhetto venne sostituito da D’Alema. L’ex leader del Pds, passato successivamente ai Democratici di Sinistra, ritentò allora la via di una nuova alleanza, questa volta con Antonio Di Pietro, presentandosi alle elezioni europee del 2004. Il risultato fu davvero magro: la lista “Di Pietro-Occhetto” prese poco più del 2% dei voti. Dopo la débâcle europea seguì il divorzio dal magistrato di Mani Pulite, con annessi strascichi in tribunale e bizze economiche. Di Pietro tornò a occuparsi dell’Italia dei Valori, mentre Occhetto fondò il Cantiere per il bene comune nel tentativo di rifondare un “campo largo” di forze di sinistra, come lo si preferisce chiamare oggi.
Le incognite dell’alleanza Bersani – Conte
Ancora una volta, il super-progetto dei due leader fallì. Perché, questa volta, dovrebbe funzionare? Ora come allora uno degli ultimi savi della sinistra italiana si ritroverebbe a unire le proprie forze con un “corpo estraneo” entrato in politica e che ha raccolto nel tempo un grande consenso popolare (l’ex avvocato Conte, come l’ex magistrato Di Pietro). Quali forze sarebbero coinvolte? E che ruolo ricoprirebbe la fascia di pentastellati esclusi da questa super-creatura? Chi lo guiderebbe? Intanto il tempo stringe. Il progetto della federazione del centrodestra avanza, le elezioni amministrative si avvicinano e i candidati se e quando non preferiscono ritirare la propria disponibilità a candidarsi, si trovano a fronteggiare la difficoltà di non sapere a quali forze, di fatto, possono fare riferimento. E il riflesso di un’alleanza simile non potrebbe che colpire (o rafforzare, a seconda dell’andatura) anche l’esecutivo guidato da Mario Draghi, ma soprattutto influire sulla nomina del successore del presidente Mattarella. Che sembra essere una questione ancora distante, ma così non è.
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