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Tommaso Zorzi spiega perché Raffaella Carrà era una vera icona gay e non solo: «Ha insegnato agli etero a combattere sui tacchi a spillo» – L’intervista

06 Luglio 2021 - 18:32 Giada Giorgi
26 anni, quasi 2 milioni di follower su Instagram, uno dei più seguiti esponenti della comunità Lgbqt+ commenta la vita e la morte della grande artista scomparsa

A piangere in queste ore Raffaella Carrà c’è anche lui, Tommaso Zorzi, classe 1995, quasi 2 milioni di follower su Instagram e l’orgoglio di chi, nonostante la giovane età, difende con coraggio i diritti di una libertà sessuale ancora preda di ostacoli e pregiudizi. All’indomani dell’improvvisa morte di una delle icone gay più amate in Italie e nel mondo, e nel corso di un altro difficile giorno per il ddl Zan, Zorzi spiega l’immenso valore «delle battaglie combattute sui tacchi a spillo».

«È venuto meno un pilastro di tante battaglie che tuttora siamo costretti a combattere». Ha pronunciato queste parole di saluto per Raffaella Carrà tra le lacrime.

«È stata una reazione spontanea per una notizia che ancora stento ad accettare. Se ne va un collante che per anni è stato capace di unire in modo trasversale intere generazioni. Ho perso le mie due icone – Milva e Raffaella Carrà – nel giro di un anno, mi sento più solo».

La parola icona in queste ore continua a comparire nei ricordi dedicati a Raffaella. Cosa vuol dire per un ragazzo di 26 anni, capace di vivere la propria omosessualità in maniera libera e aperta come fa lei, avere un’icona? E perché proprio Raffaella?

«Significa avere un esempio. Quando si parla di Raffaella Carrà come icona gay io mi permetto sempre di correggere e di dire che non era un’icona gay, ma un’icona e basta. Pensando ai muri che ha avuto il coraggio di abbattere, credo che debba trasformarsi in un’icona etero perché è agli eterosessuali che ha insegnato l’accettazione del mondo omosessuale. E lo ha sempre fatto usando lustrini e paillettes. Un sorriso e via: ti racconto la storia di una donna che sceglie di fare l’amore con chi vuole.

Credo che una battaglia non sia meno importante se fatta in tacchi a spillo piuttosto che in piazza. Carrà ha saputo difendere la comunità Lgbtq+ attraverso l’esempio, facendo parlare l’arte: con i suoi video, il look, i testi. Grazie a lei, il mondo Lgbtq+ (e con esso quello dello spettacolo) ha per la prima volta comunicato con il mondo della massaia italiana. È stata un terremoto per l’Italia e fatico a pensare a un’altra icona nostrana che sia riuscita a conquistarsi il mondo in questo modo. La associo invece a Cher, Dolly Parton, Madonna. Quando ha smesso di fare televisione la cultura e l’emancipazione femminile hanno fatto dieci passi indietro».

L’eredità di Raffaella Carrà servirà ora per combattere quali battaglie?

«La battaglia più moderna che stiamo purtroppo ancora combattendo è quella del Ddl Zan. Le confido che la presenza di icone e persone come la Carrà mi facevano sentire più al sicuro. Perché è innegabile quanto non tutti siano arrivati ad avere gli stessi diritti, a differenza dei doveri su cui invece non si fanno sconti. Raffaella era l’ultima diva, per un ragazzo omosessuale perdere l’ultima alleata è dura».

Di poche ore fa lo scontro, proprio sul ddl Zan, tra una sua nota collega, Chiara Ferragni, e Matteo Renzi. Noto poi è il suo botta e risposta con Matteo Salvini di qualche tempo fa sullo stesso tema. Trova davvero utile alla causa tutto questo?

«È senza dubbio un bene, soprattutto se si gode di tanto seguito, ma mi piacerebbe che ci fosse gente più titolata di noi a portare avanti battaglie così importanti. Ci impegniamo a sostenere la causa ma è triste che siamo, più di tanti altri, a farlo in prima linea. Il nostro è un Paese in cui persone come Fedez e Chiara Ferragni diventano paladini di tematiche che andrebbero discusse alla Camera. Sono grato che lo facciano per noi, ma mi fa anche molto pensare. Negli ultimi mesi hanno fatto più di tante persone con un vitalizio».

Renzi ha invitato Ferragni per un confronto sul Ddl Zan. Lei al posto di Chiara accetterebbe?

«No. Ci hanno fatto perdere talmente tanto tempo che anche un caffè di confronto sarebbe un’ ulteriore grossa perdita di tempo per un testo che andrebbe semplicemente approvato e fatto diventare legge, niente di più. Abbiamo tutte le carte in regola per essere un Paese all’avanguardia eppure su certi argomenti non facciamo altro che indietreggiare. Da ragazzo gay che viaggia molto all’estero, non nego di aver provato spesso imbarazzo nel dovermi confrontare su questi temi con i coetanei di altri Paesi. Una volta in Olanda, uno dei Paesi forse più progressisti d’Europa, mi è capitato di parlare della situazione italiana della comunità Lgbtq+: Mi guardavano con lo sguardo di chi si domanda se l’Italia fosse ancora nell’era della scoperta della ruota…».

Si aspettava l’appoggio di Renzi?

«I punti che adesso ritratta sono punti che ha scritto lui o quantomeno il suo partito. Poi preferisco non sapere quali retroscena ci siano dietro scelte del genere perché se li sapessi credo cambierei direttamente Paese».

Una delle proposte di Ostellari è quella di eliminare dal testo del Ddl Zan ovunque sia presente la parola “identità di genere”. Che valore ha una richiesta di questo tipo?

«Si sta negando l’esistenza a persone che invece esistono. Pagano le tasse, vivono nel nostro Paese e che no, non sono prostitute. Basta pensare che le donne trans siano tutte prostitute che lavorano sul marciapiede perché non è cosi…Proviamo a immedesimarci in una donna trans che guarda in tv uno dei tanti dibattiti in cui c’è gente che rifiuta di riconoscere la sua esistenza. Come ci sentiremmo al suo posto? Se nasco sentendo di non appartenere al mio corpo, non vuol dire che sono un pervertito, un debosciato, un malato di mente. Sono una persona che per natura, e non per l’errore di Dio, si trova in un corpo sbagliato».

Trans e prostituzione. Crede sia anche questo il pregiudizio che alberga in Renzi e in quelli che si oppongono al Ddl Zan?

«Non ho dubbi. Ed è per questo che parlare di legge liberticida non ha senso. E se anche lo fosse, si tratterebbe di una libertà che lede quella degli altri odiando e discriminando. E che per questo avrebbe bisogno di essere arginata».

Sui social, luogo da lei ben conosciuto, gira in queste ore la proposta di un un nuovo nome al decreto contro l’omotransfobia: Ddl Carrà. Le suona bene?

«Se questo aiutasse a farlo passare, se la gente si inibisse di fronte al nome della Carrà prima di “defecare” sugli articoli del Ddl, ben venga cambiargli nome. Chissà che – chiamandolo con un nome intoccabile – finalmente la gente smetta di sputarci sopra».

Foto in copertina: elaborazione di Vincenzo Monaco

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