Licenziati con una email (o via Whatsapp)? Attenti alla bufala mediatica
Con la fine parziale del divieto di licenziamento dal 1° luglio (per le imprese del settore industriale, ad eccezione di quelle tessili e delle aziende che usano gli ammortizzatori sociali) sono salite agli onori della cronaca le prime procedure di riduzione collettiva del personale. Le notizie che hanno accompagnato queste prime procedure (quella della GKN di Firenze, l’altra riferito alla brianzola Gianetti) hanno messo in luce un elemento apparentemente molto grave: la scelta delle aziende di comunicare i licenziamenti con un messaggio (email o Whatsapp). Scelta che, per la sua brutalità, non può che suscitare una forte indignazione: licenziare le persone senza neanche guardarle in faccia è incivile.
C’è però un problema che i giornali e i media non stanno considerando: la notizia è falsa. Intendiamoci, i messaggi sono sicuramente stati recapitati, ma non si trattava di lettere di licenziamento, per un motivo molto semplice: la legge sui licenziamenti collettivi (la n. 223 del 1991) non consente a nessuna azienda di licenziare le persone senza aver avviato e completato una procedura molto lunga. Tale procedura inizia con una lettera che invia l’azienda al sindacato, nella quale si annunciano gli esuberi, si spiegano le relative motivazioni e si propongono soluzioni alternativa.
Cosa prevede l’iter
Dopo questa lettera, azienda e sindacati sono obbligati a incontrarsi e discutere per almeno 45 giorni, cercando soluzioni alternative al licenziamento; se la discussione non sfocia in un accordo, le Regioni e il Governo fanno un’ulteriore mediazione per altri 30 giorni.Solo alla fine di questo lungo periodo, che non può durare meno di 75 giorni (i termini si dimezzano se i licenziamenti riguardano meno di 10 lavoratori), e solo se non sono state trovare misure alternative, l’azienda può comunicare i licenziamenti.
Nei casi saliti agli onori della cronaca in questo giorni, quindi, non è stato comunicato alcun licenziamento, per il semplice motivo che nessuna azienda può licenziare nessuno, con la procedura collettiva, prima che sia completa la procedura appena descritta. Ma allora perché è circolata la notizia che questa o quell’altra azienda ha licenziato qualcuno “via whatsapp” oppure “via email”? Questo è accaduto perché è stata scambiata per una lettera di licenziamento l’informazione che hanno dato le aziende ai lavoratori: dopo aver mandato la lettera alle organizzazioni sindacali con la quale veniva chiesto il confronto sindacale, queste imprese hanno avvisato (via email o via whatsapp) i lavoratori della situazione, informandoli anche dell’intenzione di cessare l’attività.
Si tratta di informazioni sicuramente brutali e sgradite che non possono essere qualificate come licenziamenti, e che vengono sempre fatte circolare con queste modalità: è prassi comune che un’azienda, dopo aver mandato una lettera formale al sindacato, e in attesa di incontrarlo, informi i lavoratori con messaggi rapidi di quello che sta accadendo. Scambiare questa prassi per dei veri e propri “licenziamenti” intimati via whatsapp o via email non ha alcun senso, se non quello di intorbidire il clima. Esattamente quello di cui non abbiamo bisogno in un periodo come quello cui andiamo incontro.
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