Patrick Zaki rischia altri 45 giorni di custodia cautelare. L’appello degli attivisti
«Si è tenuta una sessione di udienza per Patrick con la sua presenza senza che la Corte abbia ancora deciso l’esito per quanto riguarda un ulteriore prolungamento di 45 giorni della custodia cautelare in cella o di una liberazione». Dal carcere di Tora al Cairo arrivano aggiornamenti sulla detenzione di Patrick Zaki, lo riferiscono gli attivisti della pagina Facebook Patrick libero. Lo studente dell’Università di Bologna, in prigione in Egitto dal febbraio 2020. Nel post pubblicato gli avvocati hanno voluto precisare di essere stati «informati oggi» della seduta.
La denuncia degli attivisti
Nel messaggio per la scarcerazione di Zaki, accusato nel Paese di «diffusione di notizie false, l’incitamento alla protesta e l’istigazione alla violenza e ai crimini terroristici», gli attivisti hanno chiesto «di fare pressioni globalmente» con alcune richieste tra cui l’immediato rilascio di Patrick e la caduta di tutti i capi d’accusa. Tra i punti presentati dagli attivisti anche la garanzia che né Patrick né i membri della sua famiglia siano nuovamente perseguiti dal governo». Gli avvocati del ragazzo, si legge nel post che ricostruisce l’ultimo capitolo di una vicenda «estenuante», «sono stati informati dell’udienza che come al solito si è conclusa senza ancora un verdetto per oggi». Le fonti vicine ai legali fanno sapere che una comunicazione potrebbe arrivare nella giornata di domani, «un’attesa che aggiunge crudeltà alla crudeltà di 17 mesi», ha commentato il portavoce italiano di Amnesty International Riccardo Noury, auspicando a un proscioglimento.
Nel lungo percorso processuale che Zaki sta affrontando da quasi un anno e mezzo, l’ultima udienza convocata dalla Corte aveva rinnovato la custodia cautelare nei suoi confronti di 45 giorni. Il ricercatore 30enne è in cella dal momento in cui è stato arrestato in circostanze «controverse», come le definiscono le autorità egiziane e rischia fino a 25 anni di carcere. Dall’inizio però il trattamento giudiziario riservato a Zaki non è in linea con la condizione del detenuto. L’emergenza Covid e la crisi sanitaria legate alla pandemia hanno allungato i tempi. Dopo i primi cinque mesi di rinnovo, ora Zaki vede rischia di vedere aggiungersi un altro mese e mezzo in più dietro le sbarre. Gli appelli per porre l’accento sulle condizioni fisiche in cui versa si aggiungono ogni settimana.
L’arresto
Gli osservatori internazionali hanno da sempre sottolineato come l’attività di ricercatore e attivista politico per i diritti portata avanti da Zaki siano alla base delle violazioni dei diritti che subisce in carcere al Cairo. Tutto iniziò nel 2018, quando alle elezioni presidenziali egiziane Zaki era responsabile della campagna di Khaled Ali. L’uomo, un avvocato da sempre impegnato nella difesa dei diritti, ritirò la sua candidatura denunciando un clima intimidatorio e diversi arresti tra i suoi fiduciari. Le proteste dell’ala politica più aperte del Paese proseguì, ma ciò non ha impedito alle autorità di iniziare a seguire le attività di Zaki a ridosso del master in studi di genere che stava seguendo all’Università di Bologna.
L’arresto viene effettuato dai servizi segreti egiziani dopo l’atterraggio di Zaki all’aeroporto del Cairo. Erano le 4 del mattino del 7 febbraio 2020. Per le successive 24 ore nessuno tra i suoi familiari e amici hanno notizie di lui. Neppure i media sapevano nulla. La notizia della sua detenzione arriva da un’associazione egiziana, con cui Zaki collaborava come ricercatore, la Egyptian Initative for Personale Rights. Grazie all’attività di diffusione della vicenda, si venne a conoscenza anche dei capi d’accusa formulati contro Zaki e iniziò la mobilitazione a livello globale che contraddistingue le richieste di scarcerazione.
Un caso sotto gli occhi di tutti
Il tutto, nella più totale indifferenza delle autorità del Cairo, che non si sono dimostrate mai collaborative né per quanto riguarda la tutela dei diritti e della salute dello studente. Che ha subito con evidenti prove di essere stato seviziato più volte in carcere, anche in lunghi interrogatori in cui gli venivano chiesti chiarimenti sul suo operato in Italia e ai presunti rapporto con la famiglia di Giulio Regeni, che insieme alla vicenda di Zaki ha riaperto le ferite mai sanate sul rapporto tra Italia ed Egitto, tuttavia mai inclinati negli affari economici. La Procura di Mansura ha sempre negato le torture e le minacce, come quella di stupro cui Zaki è stato sottoposto. Il ragazzo è stato trasferito in tre carceri differenti e ha incontrato i suoi cari solo una volta, nel dicembre dell’anno scorso, e alla propria ragazza invia messaggi scritti su oggetti di fortuna.
Le mobilitazioni delle ong non hanno dato seguito a un atto risolutivo da parte del governo italiano, pure schierato a livello parlamentare sul riconoscimento, per esempio, della cittadinanza italiana a Zaki, o della condanna nei confronti delle autorità egiziane. da parte della politica italiana e dei governi che si sono succeduti nel corso di un anno e mezzo. La richiesta di cittadinanza nei suoi confronti è stata approvata lo scorso 7 luglio, anche per l’impegno di figure come la senatrice Liliana Segre.
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