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Cosa sta succedendo a Cuba: gli scontri, gli arresti e il rischio escalation

13 Luglio 2021 - 00:07 Federico Bosco
Accuse di interferenze straniere e caccia alle quinte colonne interne sono tra i principali ingredienti delle guerre civili. Se non dovesse rientrare in tempi brevi la crisi cubana potrebbe causare un terremoto geopolitico nei Caraibi

Scontri, centinaia di arresti, negozi presi d’assalto e qualche ferito: è il bilancio per ora relativamente contenuto delle violenze di domenica a Cuba, dove migliaia di dimostranti sono scesi in strada in una ventina di città per una protesta di massa organizzata sui social media in cui dire basta alle insostenibili difficoltà economiche. Per Cuba è la più grande ondata di manifestazioni degli ultimi 30 anni, causata dal malessere di una crisi economica che pesa sulle esigenze basilari della vita quotidiana e che continua a peggiorare, tra il crollo del turismo e la morsa delle sanzioni statunitensi. Il presidente della Repubblica e primo segretario del Partito comunista cubano Miguel Díaz-Canel accusa gli Stati Uniti di voler provocare disordini nell’isola, mentre il presidente Joe Biden lancia un appello affinché l’Avana ascolti il popolo e la sua richiesta di libertà e aiuto. Cuba sta affrontando la più grave crisi economica dopo quella degli anni ’90 causata dalla caduta dell’Unione Sovietica, fino ad allora principale sponsor del bastione comunista dei Caraibi. Le restrizioni imposte dal Covid-19 hanno paralizzato il settore turistico e con esso il flusso costante di valuta straniera che, attraverso l’economia informale, colmava le tante lacune del sistema. Una crisi che infierisce su un paese già colpito dalle sanzioni più severe imposte dall’ex presidente Donald Trump, che avevano piegato e soffocato ulteriormente l’economia. L’Avana sperava che Biden alleviasse le misure imposte dal predecessore, ma la speranza non si è concretizzata.

Le paure del governo cubano

All’inizio dell’anno Díaz-Canel ha cercato di introdurre alcune riforme economiche ponendo fine al sistema della doppia valuta e consentendo maggiore libertà al settore privato, ma le riforme hanno avuto scarso impatto di fronte alla profondità della recessione. La carenza di cibo, medicinali e carburante ha continuato ad aggravarsi e ormai sono sempre di più i cubani che devono fare molta fatica per ottenere beni di prima necessità, sia per mancanza di soldi che per la difficoltà di reperire i beni. L’Avana ora è preoccupata, Diaz-Canel ha respinto l’accusa statunitense di essere a capo di una dittatura, sostenendo che la popolazione riceve benefici «possibili solo grazie al sistema socialista», e difendendo le politiche economiche ufficiali e il contrasto al virus nonostante la mancanza di risorse causate dall’embargo USA in atto da quasi 60 anni. 

Il rischio di una guerra civile

Diaz-Canel ha definito «criminali» i manifestanti violenti, invitando «i rivoluzionari (nel senso della rivoluzione del 1959), e in prima fila i comunisti» ad affrontare le provocazioni e a difendere il sistema cubano. Intanto, all’Avana vengono schierate jeep delle forze speciali con le mitragliatrici montate sul retro. Il governo è convinto che dietro alle proteste ci sia la longa manus della CIA, sottolineando che «in modo molto codardo, molto perverso, nelle situazioni più complicate che abbiamo nelle province, cominciano ad apparire personaggi dell’impero yankee, propugnando dottrine di intervento per rafforzare il concetto che il governo non è in grado di uscire da queste difficoltà». Allo stesso modo, Diaz-Canel esorta Washington a revocare l’embargo per dimostrare l’autenticità delle preoccupazioni per i cubani. «Dietro a tutto questo c’è il sogno di porre fine alla rivoluzione cubana. Non permetteremo a nessuno di manipolare la nostra situazione. Né ammetteremo che mercenari venduti agli USA provochino una destabilizzazione a Cuba», ha concluso Diaz-Canel. Accuse di interferenze straniere e caccia alle quinte colonne interne sono tra i principali ingredienti delle guerre civili, in un paese che dal punto di vista retorico vive ancora in piena Guerra Fredda. 

Il monito della Casa Bianca

Ieri sera Washington ha messo in guardia Cuba contro qualsiasi uso della violenza contro i manifestanti. «Gli USA sostengono la libertà di espressione e di riunione a Cuba e condannerebbero fermamente qualsiasi atto di violenza o volto a prendere di mira manifestanti pacifici che esercitano i loro diritti universali» ha affermato su Twitter il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan

A rispondergli con toni inequivocabili il ministro degli esteri cubano Bruno Rodríguez, sostenendo che Sullivan «non ha autorità politica e morale per parlare di Cuba, il suo governo ha stanziato centinaia di milioni di dollari per promuovere la sovversione nel nostro paese e attua un blocco genocida, che è la causa principale delle scarsità economiche».

La Russia si schiera con Cuba

In uno schema che ripropone la Guerra Fredda, il Cremlino ha messo in guardia contro qualsiasi interferenza esterna a Cuba. «Consideriamo inaccettabile che ci sia un’interferenza esterna negli affari interni di uno Stato sovrano o qualsiasi azione distruttiva che incoraggi la destabilizzazione della situazione sull’isola» ha detto la portavoce del ministero degli esteri russo Maria Zakharova parlando alla stampa.

L’intervento del Messico

Ma a far ricordare che il mondo non è più quello della Guerra Fredda è l’intervento del presidente del Messico Andres Manuel Lopez Obrador, che ha messo in guardia da ogni ingerenza negli affari interni cubani e da ogni tentazione interventista, invitando al dialogo e offrendo aiuti all’Avana. Se non dovesse risolversi in tempi brevi senza grandi stravolgimenti, la crisi cubana potrebbe causare un terremoto geopolitico nei Caraibi, e andare fuori controllo. 

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