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Il 20enne che ha affrontato i No Vax in piazza: «Mio padre ucciso dalla Covid: col vaccino sarebbe ancora qui»

27 Luglio 2021 - 10:05 Redazione
Marco Natali, 20 enne, ha affrontato un gruppo di manifestanti raccontando del padre medico, morto dopo una polmonite fulminante a marzo 2020

«I morti di Covid non esistono, li uccidono in ospedale»: quando Marco Natali, figlio di uno dei tanti medici uccisi dalla pandemia, ha sentito urlare questa frase in piazza della Vittoria a Lodi, dove vive, non è riuscito a tacere. Il ragazzo, scrive il quotidiano locale Il Cittadino di Lodi, stava accompagnando la sua fidanzata dall’estetista, ignaro del corteo di protesta contro il Green Pass che contava circa 200 manifestanti: inaspettatamente si è trovato faccia a faccia con chi gridava al complotto e ha preso la parola. «No, non applaudite, non la penso come voi. Il 18 marzo dell’anno scorso mio padre, che era un medico, è morto di Covid. L’11 marzo ho ricevuto un suo messaggio che diceva che non respirava, e dopo pochi giorni ci ha lasciato. Se ci fosse stato il vaccino probabilmente lui sarebbe ancora qua…». Tornato a casa, scrive il Corriere, Marco Natali, 20 anni, ha raccontato tutto alla madre e alla sorella: «Potreste trovare un mio video su Facebook». Entrambe si sono dette orgogliose di lui per il coraggio dimostrato.

Marco Natali ricorda ai No Vax il padre morto per Covid

Il padre del ragazzo era Marcello Natali, medico di Caselle Landi (e Codogno, primo paese colpito dalla pandemia), ex segretario di Lodi della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale che il 18 marzo 2020, a 57 anni, è stato tra i primi medici in Italia a morire a causa del virus. Il figlio Marco ha raccontato al Corriere come tutto è iniziato l’11 marzo, quando l’Italia era da pochi giorni entrata in lockdown: «Papà doveva accompagnare mia madre, che aveva contratto la malattia, a fare la radiografia ai polmoni. Ma in ospedale cominciò a stare male lui, e fu ricoverato a Cremona» per una polmonite fulminante, per poi morire sette giorni dopo. «Non riuscii quasi mai a telefonargli – ricorda il ragazzo – un giorno stavo facendo il caffè e preparai la tazzina anche per lui: un’abitudine. Mia madre mi consigliò di chiamarlo e dirglielo. Parlava a fatica, la nostra conversazione durò meno di un minuto. È l’ultimo ricordo che ho di lui, vivo».

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