Fortissima e fragile: cosa vuol dire essere Simone Biles, la più grande ginnasta di sempre
Il ritiro di Simone Biles dalla prova a squadre della ginnastica artistica di Tokyo 2020 ha lasciato il mondo dello sport impietrito. La ginnasta statunitense si è fermata per generali “problemi medici” a seguito di un errore dopo un salto. La squadra statunitense non aveva precisato se si trattasse o meno di un infortunio. Ma ora, è stata la stessa campionessa americana a chiarire. «Devo fare ciò che è giusto per me e concentrarmi sulla mia salute mentale e non mettere a repentaglio la mia salute e il mio benessere», ha dichiarato Biles.
«Le olimpiadi non sono uno scherzo»
Ieri, la campionessa olimpica scriveva nella mattina di Tokyo: «Ho il peso del mondo sulle spalle. Non è stata una giornata facile o la mia migliore, ma l’ho superata. A volte mi sento davvero come se avessi il peso del mondo sulle spalle. So che lo spazzo via e faccio sembrare che la pressione non mi colpisca, ma dannazione a volte è difficile: le olimpiadi non sono uno scherzo». No, non lo sono. Soprattutto per chi – dopo Phelps, dopo Bolt, dopo chi ha infranto qualsiasi record – è stata ed è l’unica in grado di portare il gesto atletico oltre i limiti, quelli che nella ginnastica sono imposti dalla gravità.
Biles contro se stessa
Quattro medaglie d’oro e una di bronzo agli ultimi Giochi di Rio non sono certo un bagaglio leggero da portarsi dietro per cinque anni. A 19 anni si era presa le sue prime medaglie olimpiche, ma ora, che ne ha 24, un’età considerata già troppo avanzata per poter contare ancora nel mondo della ginnastica, Biles non è mai stata così forte. E lei lo sa. Tanto che sul body da gara si era fatta cucire la testa di una capra. Un riferimento all’acronimo del suo soprannome: «G.O.A.T», «Greatest of All Time». Un gesto per cui i fan l’avevano accusato di peccare di umiltà. Ma Biles è la più grande ginnasta di sempre. Inutile girarci attorno. E per roteare nell’aria, sfidando la gravità, non puoi permetterti di tentennare. D’altronde, il documentario sulla vita della ginnasta statunitense uscito appena prima dei Giochi racchiude l’essenza della sfida atletica della 24enne: Biles vs Herself, Biles contro se stessa.
Il doppio carpiato Yurchenko, l’eccellenza e la fragilità
Ripetersi in due olimpiadi consecutive non è difficile. È quasi impossibile. E lo è ancora di più quando ti presenti a un’edizione dei cinque cerchi con gli occhi del mondo puntati addosso e con il biglietto da visita di un doppio carpiato Yurchenko. Un salto talmente difficile che nessuna donna l’aveva mai provato prima. Biles è riuscita a realizzarlo a maggio, a Indianapolis. A quell’impresa i giudici non hanno assegnato un coefficiente punti troppo elevato a causa della sua pericolosità e per scoraggiare le altre atlete dal provarlo. Biles ha risposto: «Io lo faccio perché posso». Dietro a quel «posso» c’è tutta la sfrontatezza – e la consapevolezza – di chi non si pone limiti. Perché l’eccellenza sta in quel tendere all’infinito, non nel raggiungerlo. Biles potrebbe essere ai suoi ultimi Giochi olimpici. E dalle sue parole è chiaro che la sua Olimpiade è finita. Ma nello sport è la fragilità dell’essere umano, non la sua resistenza, a rendere il gesto atletico un capolavoro. E Biles ce ne ha già regalati molti.
July 27, 2021
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