Riforma della giustizia, approvato il diritto all’oblio su Google per gli assolti. Cosa cambia per la rimozione delle informazioni personali
Modulo di richiesta per la rimozione delle informazioni personali. Fra le pieghe dei servizi per gli utenti di Google esiste anche questa pagina. È un form, come tanti. Qualche informazione per identificare chi sta facendo la richiesta, qualche domanda e poi l’immancabile daptcha. È il modulo per sparire dal motore di ricerca più usato al mondo. Un modulo che, almeno in Italia, potrebbe cambiare dopo l’emendamento approvato dalla commissione Giustizia della Camera. Nella discussione sulla nuova riforma della Giustizia, il deputato Enrico Costa ha presentato un emendamento per estendere il diritto all’oblio sui motori di ricerca a chi, indagato o imputato per un reato, è poi stato assolto dai giudici.
Al momento Costa fa parte di Azione, il partito guidato da Carlo Calenda. Il suo esordio però è stato con Forza Italia, per poi passare al Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano, Noi con l’Italia e poi ancora nell’aprile 2018 Forza Italia. L’emendamento di Costa prevede che «il decreto di archiviazione, la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione, costituiscano titolo per l’emissione del provvedimento di deindicizzazione che, nel rispetto della normativa europea in materia di dati personali, garantisca in modo effettivo il diritto all’oblio degli indagati o imputati».
In breve, se l’emendamento farà parte del testo finale della riforma l’assoluzione dei giudici corrisponderà all’assoluzione dei motori di ricerca. «Una sentenza di civiltà», l’ha definita Costa. «Lo Stato – continua il deputato – deve garantire che l’assolto sia la stessa persona che è entrata nell’ingranaggio della Giustizia, in termini di immagine, credibilità e reputazione. Oggi non è così. I gestori dei motori di ricerca molto spesso oppongono dinieghi immotivati e costringono gli interessati a rivolgersi al Garante. Oggi invece la rete infanga spesso le persone e restano sacche di resistenza ai rimedi».
Come funziona adesso il diritto all’oblio su Google
Nell’Unione europea l’anno zero del diritto all’oblio per i motori di ricerca è il 2014. È qui che il Garante spagnolo per la protezione dei dati personali ha ordinato al motore di ricerca di togliere dai suoi risultati il nome di un cittadino spagnolo che 16 anni prima era stato coinvolto in una procedura di riscossione di crediti. Il nome del cittadino in questione era stato pubblicato sul giornale La Vanguardia e facendo una ricerca su Google continuava a comparire associato a questo vecchio procedimento giudiziario.
Dopo questo episodio il caso arrivò anche alla Corte di giustizia dell’Unione Europea che stabilì due punti fissi. Il primo è che un motore di ricerca con sede all’estero ma operativo in Europea può essere soggetto alla legislazione europea. Il secondo è che il motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati personali, e quindi nel caso dello spagnolo anche della comparsa del suo nome nelle ricerche. Nel 2016, con una nota pubblicata sul blog ufficiale, Google ha esteso la possibilità di accedere al diritto all’oblio a tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. Non certo senza polemiche.
Al momento quindi esiste un modulo che si può inviare a Google per richiedere che il proprio nome non sia associato a determinate ricerche. Riempire tutte le caselle di questo form non garantisce però un effetto automatico. Ogni richiesta, e non sono poche, viene vagliata da uno staff e può anche essere rigettata se le informazionI a cui si viene associati hanno ancora una valenza pubblica o semplicemente non sono compromettenti. Al momento nel caso in cui Google non accolga questa richiesta è possibile rivolgersi al Garante della privacy o al giudice civile. Quindi è sempre il motore di ricerca ad avere l’ultima parola sul diritto all’oblio. L’emendamento di Costa inserito nella Riforma della giustizia non cambia questo sbilanciamento ma contribuisce a mettere chiarezza su tutti quei casi in cui Google dovrebbe intervenire sui suoi algoritmi.
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